LARA TASSAN ZANIN - Responsabile BEI Repubblica Ceca e Slovacchia
Buongiorno Lara, lei è una vera italiana nel mondo. Ha vissuto, ed ha fatto carriera, in Italia, Lussemburgo, Londra e Turchia. Ci racconti com’è cominciata la sua avventura all’estero.
Con una porta in faccia. Lavoravo in una struttura internazionale a Trieste da otto anni e avevo avviato con successo un’attività innovativa: un giorno incontro il mio capo, avevo in mano il business plan dei successivi 5 anni. Lui, austriaco, diretto, asciutto, mi ha fatto capire che con la mia visione dovevo probabilmente andare in una struttura più grande che potesse assorbire la mia energia. Un anno dopo lavoravo nella più grande banca multilaterale al mondo con sede a Lussemburgo. L’avevo preso in parola. Certo non avevo idea dell’incredibile viaggio di vita che avrei intrapreso.
Ha studiato Ingegneria dei Trasporti per poi approdare alla Banca Europea per gli Investimenti, dove è attualmente responsabile per la Repubblica Ceca e la Slovacchia. Com’è avvenuto questo passaggio e qual è l’aspetto che più la entusiasma di questo lavoro?
Con una visione. I miei compagni di università erano interessati a progettare la struttura più avveniristica, il ponte più lungo. Anch’io avevo una passione per le grandi opere ma non volevo che i miei progetti rimanessero su uno scaffale polveroso per mancanza di fondi. Io volevo realizzarli. Mi sono avvicinata all’ingegneria finanziaria e ho fatto una tesi di laurea che ha combinato ingegneria e finanza di progetto, di cui nel 1998 non parlava quasi nessuno. Quando cercavano un “ingegnere che ne capisse di economia” e che fosse interessato a un lavoro internazionale, mi sono fatta avanti. Grazie a questo profilo professionale abbastanza unico sono approdata alla BEI dove ho lavorato su progetti di strade, aeroporti, ferrovie e porti in giro per il mondo. La BEI è una banca a capitale pubblico, i cui soci sono i paesi membri dell’Unione Europea. Offre prestiti a governi e imprese con agevolazioni considerevoli, che devono essere erogati a fronte di progetti tecnicamente validi ed economicamente sostenibili. Per valutare questi due aspetti, la BEI si avvale di propri ingegneri, esperti in diversi settori, trasporti, sanità, enti di ricerca, manifatturiero. Con il mio lavoro ho la possibilità di aiutare a spendere le risorse pubbliche in modo più sostenibile: per esempio avallando con la mia opinione un progetto piuttosto che un altro, perché ha un impatto ambientale minore o un beneficio sociale maggiore. Questo è il motore del mio entusiasmo ancora oggi, quando discuto con le imprese ceche i loro progetti industriali: l’impresa che vuole riammodernare la propria linea di produzione per renderla energeticamente più efficiente è il nostro campione!
Turchia, crocevia tra Oriente e Occidente, e Lussemburgo, con la sua posizione strategica nel cuore dell’Europa. Ci descriva quanto queste realtà divergono e cosa ha significato per lei viverci.
La Turchia è un paese complesso che risponde a logiche per lo più a noi sconosciute. È una controparte strategica per l’Europa con cui bisogna cercare il dialogo a tutti i costi: non dobbiamo però commettere l’errore di leggere questo paese con la nostra metrica, perché altrimenti saremmo destinati a perdere in partenza.
Sono arrivata ad Ankara ad inizio 2014 per aprire il nuovo ufficio della BEI e occuparmi di prestiti al settore pubblico. Avevo scelto la Turchia perché era un paese emergente con immense potenzialità, di grandi dimensioni, con una posizione strategica, una popolazione giovane (età media 29 anni) e di buona istruzione (circa il 50% dei turchi ha una laurea). La diversità culturale e religiosa era per me uno stimolo ulteriore. Alle prime interazioni, ho trovato i turchi molto simili a noi italiani, certamente più dei cugini greci o spagnoli: gentili, disponibili, pronti ad accoglierti in casa e alla loro tavola, amanti dei bambini e degli animali, grandi lavoratori, imprenditoriali. Ben presto ho capito che non appena si esce dal piano personale e si entra in quello codificato sociale o lavorativo, le cose cambiano: la società turca ha origini nomadiche (gli ottomani sono arrivati dopo) ed ha un’organizzazione non scritta di clan multifamiliari che frequentano certe università, hanno accesso a certi posti di lavoro e i cui figli in genere si sposano all’interno dello stesso clan. I nomadi hanno delle regole tutte loro, soprattutto di grande dipendenza dal capo che ha potere praticamente di vita o di morte. Nella politica, come nella famiglia e nel lavoro, si portano dietro questa matrice genetica: individualismo e indipendenza di pensiero non riescono a farsi strada nemmeno tra le nuove generazioni, anche le più istruite. A mio avviso, questo impedisce attualmente alla Turchia di realizzare a pieno il proprio potenziale economico e democratico.
Se ho potuto far fronte a una Ankara falcidiata dagli attentati terroristici (tre in meno di cinque mesi) e vivere in una città dove non ti puoi muovere liberamente perché alcune zone sono off-limits, lo devo al Lussemburgo. Trasferirmi qui dieci anni fa mi ha reso internazionale, flessibile e aperta mentalmente.
Il fatto di essere italiana, l’ha facilitata in qualche modo in campo lavorativo? È riuscita a mantenere contatti significativi con le varie comunità italiane presenti nei diversi paesi esteri nei quali ha vissuto?
L’essere italiano aiuta sempre. Siamo benvoluti ovunque, perché preceduti dalla fama della nostra cucina, del nostro stile, della nostra affabilità. Siamo naturalmente abituati a leggere tra le righe, e a tenere conto del famoso body language. Siamo flessibili e portati al compromesso. Sappiamo lavorare all’ultimo minuto, di fronte a imprevisti ed emergenze. Siamo aperti alle altre culture: saranno stati secoli di navigazione, di mercanti, e il fatto che siamo una penisola!
Posso dire con certezza che tutto questo ha contato quando sono stata selezionata per i ruoli di Londra e Ankara. Quando chiesi al mio capo belga se non ci fossero problemi ad avere due italiani in Turchia (anche il responsabile dell’ufficio di Istanbul è italiano), lui mi disse ‘Lara, vuoi che metta uno svedese a fare business con i turchi?’ Con tutto il rispetto per gli amici svedesi…ecco credo che la spiegazione sia tutta qui!
L’Ambasciata d’Italia ad Ankara mi ha adottato e con me tutti gli italiani presenti in Turchia. E stata la mia famiglia. Tanto più ostico è il contesto, tanto più la comunità italiana e i nostri diplomatici sul posto diventano importanti punti di riferimento.
Dopo tutti questi anni, tornerebbe a lavorare o vivere in Italia? Qual è il suo rapporto con il nostro Paese?
Ho casa a Trieste, città che considero il mio porto sicuro, da dove sono salpata più di dieci anni fa per questo lungo viaggio, dove ho ancora molti amici e dove posso respirare allo stesso tempo mare e internazionalità. Trieste ospita sette comunità religiose diverse ed è sede di molti istituiti di ricerca internazionali.
In questi anni, ho continuato a girare l’Italia in lungo e in largo, ho amici da Nord a Sud, ma rientrarci per lavorare era fuori discussione, fino a qualche tempo fa. Oggi sono più possibilista, guardo Milano, a come sta rinascendo e mi dico che forse è una delle città italiane in cui potrei vivere e lavorare.
Mi piace definirmi una cittadina del mondo con radici italiane. L’Italia è la mia identità primaria, che ho poi volutamente contaminato con influssi di varie altre culture: ad ogni tappa della mia vita modifico (un po’) il mio abbigliamento, il mio pensiero, la mia cucina. E quando faccio i bagagli porto tutto con me, anche le contaminazioni!
Se le chiedessero di scegliere la sua prossima destinazione lavorativa, o magari anche il suo prossimo lavoro, quali sarebbero e perché?
Ho appena iniziato a occuparmi di Repubblica Ceca e Slovacchia. Ora mi voglio dedicare a questi giovani mercati e culture europei. In futuro, vorrei fare un’esperienza negli Stati Uniti. Sono nata e cresciuta ad Aviano, nella zona pedemontana a confine tra Veneto e Friuli-Venezia Giulia, dove c’è una base NATO. Ho avuto modo di frequentare alti ufficiali militari che non appena dismettevano la divisa diventavano semplicemente John o Peter. Da noi in Italia se sei Presidente per cinque minuti, rimani ‘Sig. Presidente’ per la vita, anche se non hai fatto nulla per meritarti il titolo. Mi piace il loro concetto di meritocrazia, mi piace che se vuoi cambiare lavoro a 50 anni in America è ancora possibile, perché non conta cosa hai studiato e chi conosci, ma cosa hai fatto, sai fare, vuoi fare. Nella cultura americana, e più generalmente anglosassone, fallire è sinonimo stesso del provarci, fa parte del gioco: you try, you fail, you try again, you fail again. Rialzarsi dopo una caduta è molto più importante della caduta stessa. Sono fiera della nostra storia, della nostra tradizione e della nostra profondità ma sono sempre alla ricerca di una nuova contaminazione! Professionalmente con la base negli States avrei l’occasione di lavorare con l’America meridionale, una nuova regione per me, e perfezionare il mio spagnolo.
Lei ha partecipato anche a diversi progetti di volontariato. Ci parli di questa esperienza che sicuramente evidenzia un altro aspetto della sua personalità.
La mia famiglia è sempre stata impegnata nel sociale. È stato per me naturale dedicarmi a varie attività a favore della collettività, che si trattasse di raccogliere fondi per un asilo d’infanzia che fatica a sostenersi solamente con le rette, o di recuperare una vecchia malga di montagna. Tradizioni, montagna, infanzia sono temi a me molto cari: mi piace fare qualcosa di concreto affinché i nostri figli e nipoti possano ancora vedere e toccare con mano le nostre radici.
Ha un sogno nel cassetto o un progetto che desidererebbe tanto attuare?
Spesso dico ai miei amici che ho più progetti che anni da vivere. Sceglierne uno è davvero difficile. Ho ballato, suonato e dipinto per molti anni fino all’adolescenza. Poi ho abbandonato il lato artistico e umanistico per dedicarmi completamente a quello scientifico-finanziario. Nei miei secondi quarant’anni vorrei riprendere in mano quello che ho lasciato in sospeso: dipingere, cantare, scrivere un libro. Magari riesco a combinare tutte e tre le cose insieme!
(Intervista pubblicata sul Volume 6 di CIAOPRAGA)