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IL MIO AMORE PER LA CINA – Un’italiana a Yuyao

Il mio amore per la Cina: decido di intitolarlo così il mio articolo su quel Paese che mi era tanto sconosciuto, tanto lontano, e che adesso porto con me, nel cuore.

Ho letto e continuo a leggere i libri del carissimo Tiziano Terzani: i suoi viaggi, il suo amore incondizionato per la Cina, e non faccio che ritrovarmi in ogni sua parola verso quel mondo apparentemente distante e gelido, che ti mette in gioco, sfidando la tua lealtà verso il suo popolo. Ed è solo quando capisce di potersi fidare ciecamente di te, che diventi finalmente una di loro.

Il mio amore per la Cina nasce esattamente dopo nove mesi di agonia: un parto.

Ho fatto la valigia ben tre volte, e per altrettante tre volte mi sono ritrovata a disfarla; l’ultima volta in lacrime, perché per l’ennesima volta non ero riuscita ad andarmene. I fatti risalgono al 2012, parliamo quindi di una Cina libera, già tendenzialmente aperta, dove non mi tratteneva nessuno, se non il destino.

Ponte sul Lago Siming, vicino Yuyao

Abitavo a Yuyao, una cittadina industriale nella Cina dell’est. Ci sono capitata per caso, per un tirocinio di quattro mesi mai chiesto, perché mai avrei pensato nella mia vita di andare a vivere in Cina. Ma questa è un’altra storia.

Non parlavo la lingua, né loro parlavano l’inglese. Mi facevo capire a gesti, tipico di noi Italiani. Mi ricordo che una volta ho addirittura disegnato un autobus per trovare la stazione dei bus. Adesso ci rido, ma lo stress giornaliero che avevo per ogni minima cosa, in quel momento, era talmente alto che mi risultava impensabile vivere una situazione del genere.

Ho imparato il cinese (colloquiale) da autodidatta e per pura sopravvivenza, perché non c’era nessuna scuola che insegnasse cinese agli stranieri. I migliori insegnanti? I tassisti.

Verso la fine dei famosi quattro mesi di tirocinio, vissuti con cielo grigio, smog e quant’altro, i fiori stavano sbocciando, gli uccellini cantavano, si intravedeva il sole ed io ero felicissima di preparare la valigia per tornare a casa quando, invece, ciò che era in arrivo era la proposta d’assunzione.

“Questi sono pazzi. Come fanno a pensare che io rimanga qui? Impossibile”.

Il giorno stesso ho iniziato a disfare la valigia, quasi arrabbiata della scelta fatta. Ma ‘a tornare indietro siamo sempre in tempo’: mi ripetevo ogni giorno le parole di mio padre.

Non vivevo in una città internazionale come Shanghai, Pechino, o anche la stessa Ningbo: Yuyao era il quartiere industriale della periferia di Ningbo (un’ora di bus dalla città senza traffico), con 1,800,000 mila abitanti cinesi e una decina di stranieri malcapitati che vivevano lì, di tutte le età (dai 22 ai 65 anni). Per i miei amici internazionali che ho conosciuto in seguito a Ningbo, io ero ‘la sfigata di turno’; perché a Yuyao non c’era veramente niente! E l’unico “ristorante” internazionale che si trovava in città era il McDonald.

Continuavo a lavorare in ufficio, con 700 cinesi, e solo pochi che parlavano inglese, eccetto il Direttore Vendite e Marketing, che non era il mio capo diretto, ma grazie alla difficoltà di esprimermi e farmi capire al meglio, era inevitabile il suo intervento. Ecco, lui è stato la mia ancora di salvataggio.

Uno di quei “geni” cinesi che tutti amano e lodano: sorrideva sempre, per ogni problema perché, non so come, lui trovava sempre una soluzione per tutto. Mi ha fatto fare ogni tipo di lavoro in azienda, partendo dal basso: dovevo obbligatoriamente lavorare in fabbrica prima di poter salire in ufficio e dire di poter vendere quel determinato prodotto.

E l’ho fatto. Al freddo gelido di una fabbrica cinese che lavorava costantemente senza riscaldamenti (perché sotto Shanghai i riscaldamenti erano proibiti. Le temperature erano più vivibili, e si pensava al risparmio).

Cosa che ho detto a mia mamma solo qualche anno dopo.

Faceva -5. Giuro!

Ma i cinesi si adattano e così ho fatto anche io, pur non volendo.

Bevevo litri e litri di thè caldo per riscaldarmi durante il giorno e la sera rimanevo al ristorante cinese sotto casa fino a chiusura, per approfittare del condizionatore ad aria calda che avevano, prima di salire nel mio gelido appartamento (avevo un condizionatore che, dopo aver tentato di farlo riparare più volte, sputava sempre la stessa poca aria calda; usavo però una stufetta elettrica che spegnevo durante la notte per precauzione), andando a letto con calza maglia, doppie calze, cappello di lana e piumino. Sì, anche il piumino.

La sera la mia mente mi diceva: “Morirò da sola, ibernata e nessuno se ne accorgerà”. Perché in Cina non funziona Google, Facebook, né WhatsApp ( a meno che non installi una rete VPN sul computer, cosa che adesso funziona anche sul cellulare, ma non avevo internet a casa).

Uno dei fatti che mi ha allarmata è stato quando mi sono svegliata improvvisamente di notte completamente bloccata, riuscendo a muovere solo gli occhi. Il tutto è durato più o meno 50 secondi. 50 secondi di panico totale. Ho chiamato i miei amici italo-argentini che vivevano lì e nel pieno della notte siamo corsi in ospedale.

Con un traduttore simultaneo online che traduceva il giusto, siamo riusciti a farci capire: il dottore non mi ha neanche visitata forse, adesso non ricordo bene i dettagli. Ricordo solo lo shock quando mi ha detto: “tranquilla, il tuo corpo risolverà da solo il problema. Rilassati e bevi acqua calda”.

Io, che chissà cosa pensavo fosse successo, mi ero già preparata all’idea di tornare a casa, presa dal panico. Il giorno dopo, non contenta delle parole del dottore, chiedo gentilmente ai miei colleghi di accompagnarmi da altri dottori. Ma tutti dicono la stessa identica cosa.

Ero arrabbiata, volevo medicine, qualche calmante. Iniziavo ad avere mal di testa, e nessuno a darmi una dannata medicina.

Ho seguito il consiglio dei medici sotto suggerimento dei miei colleghi: “vedrai che starai meglio”. Stavo quasi per impazzire all’idea che nessuno mi volesse curare, così ho iniziato a bere quella tanto famigerata acqua calda tutti i santi giorni: mattina, pomeriggio e sera.

Giuro che non ho più avuto nulla. Nulla. Neanche un mal di testa.

Ho scoperto solo mesi dopo, al mio rientro in Italia per vacanza, di aver precedentemente preso la mononucleosi, ma non avevo ricordanza di tutto ciò, se non una mezza giornata di febbre alta e basta. Forse quella è stata la mia mononucleosi.

Vuoi vedere che questi cinesi hanno ragione?

Il mio amore per la Cina nasce da un giorno all’altro. Quando ho capito finalmente che dovevo guardare il tutto da un’altra prospettiva, ho iniziato a sorridere. E l’acqua calda, la bevo tutt’ora, tutti i giorni. E non solo, ho anche passato il know-how in famiglia!

La Cina è una meraviglia. Uno dei popoli più calorosi in assoluto, se non il più caloroso, ma va vissuta sulla pelle per amarla.

Forse oggi risulta più semplice visitarla anche senza parlare il cinese, forse basta l’inglese. Consiglio comunque di rendere omaggio a questo grande immenso paese, pieno di cultura e storia, visitandolo con un nativo del posto o con chi, come dice Terzani, è finito ad averci una storia d’amore.

Esattamente come me.

In copertina:

veduta aerea del Lago Siming, nei pressi di Yuyao

(immagine: Ivan Lin)

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