CIAO MAGAZINE

View Original

PELLEGRINO ARTUSI – I 200 anni del gastronomo che visse nel futuro

La città di Forlimpopoli, piccolo comune dell’ Emilia Romagna definito uno dei Borghi Autentici d’Italia, è notoriamente rinomata per aver dato i natali, 200 anni fa, a Pellegrino Artusi. Conosciuto come il gastronomo che visse nel futuro, fu l’autore dell’opera La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, saggio più comunemente rinomato come L’Artusi.

Si tratta di una composizione letteraria iniziata in prima stesura intorno al 1890 – poi successivamente ampliata e maggiormente arricchita, nonché tradotta in numerose lingue – che non nasce solo come semplice raccolta di ricette ben assortite e suddivise in categorie e generi, provenienti da tutte le regioni d’Italia, ma come un vero e proprio inno alla cucina casalinga tradizionale, in cui si celebra il gusto, la capacità di compiere giusti abbinamenti culinari ma, soprattutto, il piacere di mangiar bene.

Nato il 4 agosto 1820 da una famiglia benestante di commercianti, dopo varie vicissitudini – alcune fortemente drammatiche – che lo vedono coinvolto insieme alla sua famiglia,  Artusi trascorre gran parte della sua vita a Firenze, dove incontra e frequenta la buona società fiorentina, culla della cultura e del rinnovamento storico sociale che si andava annunciando in quel periodo.

È in questo contesto che, godendo della sua rendita familiare, Artusi si ritira a vita privata ed agiata, dedicandosi completamente alle sue passioni – la cucina e la letteratura – pubblicando a sue spese la sue due uniche opere letterarie: una biografia del Foscolo e la prima edizione di quel manuale gastronomico che lo ha reso celebre. Quest’ultimo, con ben 790 ricette, è arricchito da una serie di note personali dell’autore il quale, con stile arguto, riflessivo e anche un po’ ironico, porta il lettore a credere che “tutti possono cucinare, basta si sappia tenere in mano un mestolo”.

Questa semplicità nell’approccio all’arte culinaria, la forte attenzione alla tradizione casalinga, nonché la predilezione per le materie prime del territorio, sono elementi divenuti fonte di grande ispirazione per gli chef odierni: difficile non credere che coloro che oggi sono ritenuti i guru della gastronomia, i giganti della ristorazione stellata, non abbiano trovato la loro strada – almeno in parte – proprio partendo da quest’opera.

La cucina a chilometro zero, l’uso delle materie prime di giornata, non sono approcci culinari semplicemente inventati dai gastronomi moderni per raccogliere consensi o premi. Artusi stesso, nelle sue note – spesso briose e scherzose – che accompagnano ogni singola ricetta, raccontandone così la storia e il legame con la terra da cui proviene, vuole insegnarci come, in ogni regione d’Italia, noi siamo in grado di trovare meraviglie stagionali, con cui interagire in un rapporto sensoriale fatto di odori – odor di noce moscata e scorza di limone – e sapori…

Non solo: la sana abitudine di riutilizzare gli avanzi per non sprecare cibo, il rispetto per la natura, per le sue stagioni e i cicli produttivi ma, soprattutto, l’attenzione verso la propria salute e il proprio corpo – allo svegliar la mattina consultate ciò che più si confa al vostro stomaco – hanno reso l’opera assolutamente in linea con il nuovo spirito green and healthy che sta decisamente prendendo spazio, oggi sempre di più,  in numerosi contesti quotidiani, sociali ed economici, tra cui quello della gastronomia.

In aggiunta l’autore – fervido patriota – si sente di voler contribuire a quella unità d’Italia che in quel periodo andava profilandosi, proprio attraverso una vera unificazione nazionale culinaria, raggiunta anche con i consigli dei suoi lettori e con il supporto delle tradizioni nazionali. Così, come prima cosa, tramite un’importante rivoluzione linguistica, abbandonerà completamente l’uso dei francesismi, molto in uso all’epoca, e inserirà una serie di espressioni colorite, argute e inequivocabilmente popolaresche.

È, questa, una connotazione patriottica che ha reso il libro ancor più caro agli italiani i quali, nelle grandi migrazioni degli inizi del Novecento, in cui lasciavano il loro Paese per cercare fortuna per lo più in America, portavano dentro le proprie valigie ricolme non solo fotografie e ricordi di famiglia, ma anche questo pezzetto d’Italia, che avrebbe dato loro la possibilità di mantenere un legame con la terra d’origine attraverso un’arte culinaria unica nel suo genere.

Ed è proprio per questo motivo che, nel bicentenario della sua nascita, ci si prepara a festeggiare una figura storica e patriottica la quale, senza usare armi o politica, ha concorso alla nostra unità nazionale.

Un amore di patria al quale anche noi ci siamo sentiti di appartenere, in questo momento storico drammatico che fortemente ha inciso sulle nostre vite, e durante il quale ci siamo ritrovati a riscoprire certi valori, non solo cantando l’inno di Mameli ma anche attraverso la riconsiderazione di tradizioni culinarie casalinghe che forse, in una vita frenetica, avevamo lasciato un po’ in disparte.   

Questo è il lascito di Pellegrino Artusi: una commistione di orgoglio patriottico, di unità di popolo, di tradizioni, di lingua e anche di un immenso bagaglio culturale gastronomico. Lo si capisce anche dalle parole genuine e orgogliose del bisnipote, Luciano Artusi, scrittore e autore di libri sulla storia e la cultura fiorentina e toscana che, in una sua intervista, ci arricchisce raccontando aneddoti quotidiani di un Pellegrino Artusi che era solito far la spesa giornaliera al Mercato di Sant’Ambrogio a Firenze, acquistando direttamente da ortolani e contadini.

Un uomo il cui affetto verso i suoi fedeli domestici, Marietta e Francesco, si dimostrò non solo lasciando loro i diritti del libro ma anche dedicando la ricetta del suo panettone a Marietta, dallo stesso definita “una brava cuoca e tanto buona ed onesta da meritare che io intitoli questo dolce al nome suo, avendolo imparato da Lei”.

È lo stesso Luciano che qualifica Pellegrino un innovatore, non solo perché provava personalmente tutte le ricette che riceveva per posta dai suoi lettori, assaggiandole e gustandole insieme ai suoi domestici, ma perché fu anche il primo a vendere il proprio libro per corrispondenza. È stato un precorritore di Amazon, e avrebbe sicuramente approvato in pieno l’uso delle reti sociali e del canale YouTube della Biblioteca Comunale Pellegrino Artusi lanciato proprio dal pronipote Luciano, dal titolo Artusi ad alta voce, e che introduce le sue video ricette registrate.

È difficile, pertanto, riuscire a inquadrare Artusi e la sua opera in un solo contesto: sarebbe come tener conto di un solo lato di una figura poliedrica perché, a mio parere, questo lui era. Non solo gastronomo ma anche storico e intellettuale, conoscitore delle umane e basiche necessità fisiche ma anche di quella nostra parte più profonda e metafisica, capace di parlare con un conte e di trattare in ugual modo un contadino, abilissimo da una parte nel sostenere patriotticamente le tradizioni nella loro totalità, l’unità nazionale e i valori da essa derivanti mentre dall’altra, con uno sguardo verso il futuro, perpetrava la continua scoperta e ricerca del nuovo e del buono.

E forse, al di là di quanto improbabile possa sembrarci, credo che fu proprio lui, con la sua opera, non solo a insegnarci e a trasmetterci i segreti della nostra straordinaria arte culinaria ma a istruire numerose generazioni di uomini e donne nel parlare la nostra meravigliosa lingua riuscendo, più di ogni altro, a farci sentire fieri di essere italiani.

In copertina: Un ritratto di Pellegrino Artusi
immagini di repertorio