CRISTINA CELLINI ANTONINI - Intervista alla fondatrice di Le Dame Art Gallery a Londra
“All’anagrafe Cristina Antonini, in arte Cristina Cellini e, per accontentare tutti, oggi sono Cristina Cellini Antonini”. Così si descrive la co-fondatrice de Le Dame Art Gallery, una delle gallerie d’arte contemporanea di maggior successo a Londra.
Cristina, come e perché è nata, a Londra, Le Dame Art Gallery?
Le Dame Art Gallery è nata da un’idea mia e di Chiara Canal circa sette anni fa. All’epoca avevamo fatto un’indagine sulle gallerie di Londra e in particolare sulla presenza degli artisti italiani e avevamo notato che non c’erano altre gallerie specializzate. Quando abbiamo aperto la prima galleria a Notting Hill, si chiamava Le Dame – Made by Italians, proprio a sottolineare il carattere italiano di arte e artigianato. Poi nel tempo ci siamo dedicate più all’arte contemporanea, abbandonando completamente l’artigianato artistico. Inoltre, da un anno a questa parte, abbiamo lanciato un nuovo brand Le Dame Hospitality Art e ci siamo specializzate nell’unire l’arte contemporanea ai concept dei grandi alberghi. Le Dame Art Gallery, infatti, ha spazi espositivi o collabora con alberghi del Gruppo Meliá, Palazzo Naiadi – The Dedica Anthology, The Church Resort e altri ancora.
Quante persone lavorano con te?
Il nucleo centrale siamo Chiara, io e il nostro curatore Gianfranco Valleriani, esperto in comunicazione e nelle nuove tendenze legate soprattutto alla video arte e alle contaminazioni. Durante l’anno lavoriamo molto anche con studenti delle Università d’arte italiane e internazionali che arrivano da noi attraverso i programmi Erasmus.
Quali sono state le difficoltà iniziali incontrate?
A Londra, tutto l’aspetto burocratico legato all’apertura di una società e di un “negozio” sono assolutamente irrisorie se paragonate all’Italia. Altra cosa, invece, è avere a che fare con le agenzie immobiliari e di conseguenza con gli affitti, che sono molto penalizzanti. Investire in una galleria è una scommessa davvero molto rischiosa.
Che tipo di arte vi interessa promuovere e che rapporto avete con gli artisti che sostenete?
Oggi ci stiamo concentrando sulle nuove tecnologie applicate all’arte e su artisti giovani. Il tipo di rapporto varia da artista ad artista. Con alcuni abbiamo contratti di esclusiva mondiale mentre con altri selezioniamo un portfolio di opere. In generale, ogni volta che decidiamo di prendere un artista nella nostra scuderia, cerchiamo di lavorare con una progettualità di almeno due anni, ossia il tempo biologico che serve per promuovere un artista attraverso i nostri canali. Passato questo lasso di tempo, se l’artista è giusto per la nostra clientela e per i nostri progetti andiamo avanti. Ovviamente è un strada a doppio senso, dove anche l’artista deve capire se siamo la galleria ideale per rappresentarlo e se siamo in grado di farlo crescere.
Nel 2015 avete portato a Londra la manifestazione artistica Artrooms, un appuntamento annuale che offre la possibilità ad artisti e collezionisti di interagire direttamente con il pubblico, nel confort di una camera d’albergo. Puoi dirci qualcosa riguardo alla gestione economica del progetto e come avviene la selezione degli artisti che partecipano all’iniziativa?
Artrooms Fairs è un progetto molto complesso che ho ideato cinque anni fa e lanciato con il supporto di Chiara e di Francesco Fanelli. In pochi anni, è diventata la fiera numero uno al mondo per artisti indipendenti, con edizioni a Londra, Roma e Seoul. Ogni anno riceviamo circa duemila domande da 65 Paesi al mondo e il successo è dovuto al fatto che offriamo agli artisti spazi espositivi a titolo gratuito. Un’opportunità unica, soprattutto considerato il fatto che la fiera è diventata un luogo dove gallerie e collezionisti vengono per fare scouting e conoscere in prima persona gli artisti. Il merito del successo della manifestazione è dovuto soprattutto ai membri del comitato di selezione: tutti professionisti del settore, che si prestano sempre con grande generosità. E poi c’è l’aspetto divertente che la fiera si svolge in camere d’albergo, il che ci permette di creare fin da subito un’atmosfera molto intima tra artista e visitatore.
Come si è evoluta negli anni questa manifestazione? Dopo il successo di Londra, avete realizzato Artrooms a Roma nel 2018. Quali differenze gestionali avete incontrato?
Come dicevo, la manifestazione è passata da un’unica edizione a tre appuntamenti annuali, proprio con l’aggiunta di Roma e Seoul.
La fiera ha un carattere agile che ci permette di adattarla – ampliando o riducendo il format – a seconda dell’albergo che ci ospita. Per esempio, mentre su Londra abbiamo 76 camere, su Roma ce ne sono “solo” 50, con l’aggiunta però di un Parco Sculture che, invece, a Londra non è possibile ospitare.
Le differenze organizzative della fiera hanno poi implicazioni diverse a seconda del Paese che ci ospita. In Italia, nonostante noi soci fondatori siamo tutti italiani, abbiamo delle restrizioni dovute alla burocrazia che purtroppo non facilitano questo genere di iniziative. Ci sono problemi legati all’importazione di opere da Paesi extra comunitari (anche per artisti emergenti!) e la tassazione diventa un costo proibitivo per gli artisti.
Quali progetti per il futuro?
Per il futuro, credo che chiuderemo il progetto Artrooms che ormai ci ha regalato cinque anni di grandi successi ma che, allo stesso tempo, non ci ha permesso di lanciare nuove iniziative perché richiedeva tutte le nostre attenzioni. Ora è venuto il momento di esplorare altre opportunità. In particolare, ci stiamo concentrando sul mercato Medio Orientale. Nello specifico, lo scorso anno sono stata invitata a far parte della giuria della VIII Biennale d’Arte Contemporanea di Tashkent, in Uzbekistan. È stato amore a prima vista! Tanto che oggi, con Le Dame Art Gallery, stiamo cercando di organizzare un Simposio di Arte Uzbeka da portare in Italia, prima, e poi anche nel Regno Unito, mentre a giugno saremo presenti in fiera in Armenia. Una delle cose più interessanti e inaspettate del mondo dell’arte è che ti da la possibilità di viaggiare e scoprire sempre nuovi talenti!
In copertina: Jody Craddock, Artrooms 2018, Londra
Immagini per gentile concessione di Le Dame Art Gallery