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DIEGO GALDINO - Come rendere leggendario l'ordinario

Il successo di Diego Galdino, barista-scrittore romano, è arrivato come un fulmine a ciel sereno nel 2013 con la pubblicazione del romanzo Il primo caffè del mattino. Immediatamente definito come un caso letterario, i diritti cinematografici del libro sono stati acquistati dalla Ocean Production. Dal romanzo è scaturito Il viaggio delle fontanelle, un itinerario alla scoperta di Roma e delle sue fontanelle, al di fuori dei classici circuiti turistici della città. Nel 2014 esce Mi arrivi come da un sogno e l’anno successivo Vorrei che l’amore avesse i tuoi occhi. Nel 2017 viene pubblicato Ti vedo per la prima volta mentre nel 2018 esce L’ultimo caffè della sera, sequel del primo romanzo. I lavori di Galdino sono stati tradotti in diverse lingue e pubblicati, oltre che in Italia, anche in Germania, Austria, Svizzera, Polonia, Bulgaria, Serbia, Spagna e Sudamerica.

Sia nella sua carriera di barista che in quella di scrittore, tutto ha inizio con “il primo caffè del mattino”. Che significato ha per lei quel caffè?

Il primo caffè del mattino per un barista simbolicamente rappresenta la fortuna di poter iniziare un nuovo giorno, di dare una nuova possibilità alla vita. Ricordo mio padre che quando qualcuno al bar gli chiedeva… “Come va? Tutto bene?” Lui rispondeva sempre… “Finché stamo qui a lavorà!”  Come scrittore Il primo caffè del mattino è per me un po’ come una nemesi storica… Ho iniziato a scrivere per amore e poi ho continuato a farlo per evadere dalla mia quotidianità, ma poi il destino ha deciso che il successo letterario nazionale ed internazionale arrivasse con il libro dedicato al caffè e ambientato nel Bar dove ho trascorso gran parte della mia vita.

Un elemento determinante, per il suo avvio verso la professione di scrittore, è stato l’incontro con le novelle di Rosamunde Pilcher, autrice inglese scomparsa di recente. Come si è avvicinato ai suoi romanzi?

Si può dire che sono diventato lo scrittore di oggi per merito – o colpa – di una ragazza adorabile che a sua volta adorava Rosamunde Pilcher. Una scrittrice inglese che di storie d’amore se ne intendeva parecchio. Un giorno lei mi mise in mano un libro e mi disse «Tieni, questo è il mio romanzo preferito. Lo so, forse è un genere che piace più alle donne, ma sono certa che lo apprezzerai, conoscendo il tuo animo sensibile». Il titolo del romanzo era “Ritorno a casa” e la ragazza aveva pienamente ragione. Quel libro mi conquistò a tal punto che nelle settimane a seguire lessi l’opera omnia dell’autrice.

Il mio preferito era I cercatori di conchiglie. Scoprii che il sogno più grande di questa ragazza di cui ero perdutamente innamorato era quello di vedere di persona i posti meravigliosi in cui la Pilcher ambientava le sue storie. Ma questo non era possibile perché un grave problema fisico le impediva gli spostamenti lunghi. Così, senza pensarci due volte, le proposi: «Andrò io per te, e i miei occhi saranno i tuoi. Farò un sacco di foto e poi te le farò vedere».

Qualche giorno più tardi partii alla volta di Londra. Con la benedizione della famiglia e la promessa di una camicia di forza al mio ritorno. Fu il viaggio più folle della mia vita e ancora oggi, quando ci ripenso, stento a credere di averlo fatto davvero. Due ore di aereo, sei ore di treno attraverso la Cornovaglia; un’ora di corriera per raggiungere Penzance, una delle ultime cittadine d’Inghilterra, e le mitiche scogliere di Land’s End. Decine di foto al mare, al cielo, alle verdi scogliere, al muschio sulle rocce; al vento, al tramonto, per poi all’alba del giorno dopo riprendere il treno; fare il viaggio a ritroso insieme ai pendolari di tutti i santi d’Inghilterra che andavano a lavorare a Londra. Un giorno soltanto, ma uno di quei giorni che ti cambiano la vita. Tornato a Roma, lasciai come promesso i miei occhi, i miei ricordi, le mie emozioni a quella ragazza. Forse le avrei lasciato anche il mio cuore, se lei non si fosse trasferita con la famiglia in un’altra città a causa dei suoi problemi di salute. Non c’incontrammo mai più, ma era lei che mi aveva ispirato quel viaggio. In fin dei conti tutto ciò che letterariamente mi è successo in seguito si può ricondurre alla scintilla che lei aveva acceso in me. La voglia di scrivere una storia d’amore che a differenza della nostra finisse bene.

Cosa possiamo ritrovare, della Pilcher, nelle sue storie?

Di sicuro l’amore per i posti in cui sei nato e hai vissuto, la voglia di far capire a chi legge le tue storie quanto quei posti siano belli e il perché ne sei profondamente innamorato. Poi l’amore di persone comuni e tra persone comuni, un amore in cui qualsiasi lettore può identificarsi. La capacità di lottare per l’amore della tua vita, superando qualsiasi ostacolo pur di averlo al tuo fianco, senza dubbi o incertezze.

Qualcuno l’ha definita anche “il Nicholas Sparks italiano”. Lei cosa ne pensa?

Finché sono gli altri a dirmelo e a esserne convinti io non me ne preoccupo, sarei più preoccupato se fossi io stesso a esserne convinto e ad affermarlo. Essere considerato il Nicholas Sparks italiano è molto lusinghiero, ma soprattutto è una bella responsabilità, stiamo parlando del più importante scrittore di romanzi d’amore al mondo e al momento i numeri e i film tratti dai suoi libri attestano che lui è di un altro pianeta, un maestro per chi come me si cimenta nel genere romantico. Di sicuro entrambi scriviamo storie che cercano di emozionare i lettori, facendo leva sul sentimento più bello e importante. La prima volta che ci siamo incontrati durante un suo firma copie a Milano io avevo appena firmato il contratto con la Sperling & Kupfer, la stessa casa editrice che pubblicava i suoi romanzi in Italia, e lui quel giorno mi pronosticò un luminoso futuro letterario. Sono contento di non averlo smentito. Ciò che invece mi lascia perplesso è come sia buffo il destino, quando ho iniziato a scrivere romanzi d’amore mi chiedevo se sarei mai stato in grado di scrivere romanzi d’amore belli come quelli di Nicholas Sparks, a distanzi di anni da quella riflessione, mi ritrovo a essere letto in otto Paesi europei, in Sudamerica e ad essere definito il Nicholas Sparks italiano in ogni paese in cui sono stato pubblicato.

Una volta ha affermato che tra le sue maggiori capacità vi è quella di “saper rendere leggendario l’ordinario”. In cosa si distingue il mondo raccontato nei suoi libri, rispetto alla realtà?

Nei miei due romanzi dedicati al caffè, il racconto fa parte della mia realtà, però io cerco di far capire a chi legge le mie storie che è vero che di bar in cui si fanno e si prendono caffè nel mondo ce n’è un’infinità, ma come quello in cui lavoro da sempre e che racconto ce ne sono pochissimi. Non sono io a rendere leggendario l’ordinario è l’ordinario stesso in questo caso ad essere leggendario. La cosa più bella è quando vengono al Bar lettori dei paesi in cui sono stati pubblicati i miei romanzi, per farsi fare una dedica o scattarsi una foto dietro al bancone insieme a me. Vedere le loro facce incredule quando entrano nel Bar e mi trovano dietro al bancone a fare i caffè come il protagonista dei miei romanzi è qualcosa di bello a cui non mi abituerò mai. Lì si rendono conto che è tutto vero, che non mi sono inventato niente, che sono entrati a far parte delle mie storie come i personaggi dei libri che hanno letto. Poi quando gli presento Antonio l’idraulico, Pino il parrucchiere, Luigi il falegname e il tabaccaio cineromano Ale Oh Oh la loro realtà supera la mia fantasia. 

Come nascono le sue storie? In chi o che cosa trova ispirazione?

Io la penso come Sean Connery nel film Scoprendo Forrester… Scrivere non è pensare, è scrivere, la prima stesura va scritta di getto, in modo istintivo, non con la testa, ma nemmeno con il cuore, va scritta di pancia. Io quando batto le dita sui tasti del computer faccio come Michelangelo che levava il superfluo con lo scalpello, non facendo altro che liberare l’opera che era già dentro il blocco di marmo. Quando io inizio a scrivere una storia lei è già tutta dentro di me, dalla prima scena all’ultima, è come se avessi visto un bel film e lo raccontassi a qualcuno che non ha la possibilità di vederlo con i suoi occhi. Quindi devo creare con le parole delle vere e proprie immagini per dare al lettore la possibilità di vedere ciò che io descrivo. La scrittura per me ha la valenza di una seduta terapica, il mio libro diventa lo psicologo che ti ascolta senza pregiudizi e ti giudica in modo oggettivo. Così sai che a lui puoi dire la verità, tutta la verità, forse quella che non diresti a nessuno e allora scrivi senza pensare alle conseguenze. A me piace scrivere romanzi d’amore, perché scrivo quello che sento, quello che il mio cuore ha bisogno di esternare, io amo l’amore e tutti i suoi derivati.

Tra Il primo caffè del mattino e L’ultimo caffè della sera sono trascorsi quattro anni. Che cosa è cambiato, durante questo periodo, e come si riflettono tali cambiamenti all’interno dei due romanzi?

In realtà non era previsto che io scrivessi il seguito de Il primo caffè del mattino, non sono un amante dei seguiti, preferisco da sempre cimentarmi in storie autoconclusive. Ma negli ultimi anni mi sono capitate un sacco di cose brutte, o almeno non belle, che hanno stravolto la mia vita e il Bar di famiglia che poi è la stessa cosa. Anch’io come Massimo il protagonista de Il primo caffè del mattino ho perso un grande amico, un secondo padre. È stata una perdita, come accade nel mio nuovo romanzo, improvvisa, destabilizzante, per me e per il bar. Qualche mese dopo anche mio padre, quello vero, si è ammalato gravemente. Così sono rimasto da solo, sia fuori, che dietro il bancone del bar. A quel punto, sono dovute cambiare tante cose, ho dovuto reinventarmi e per non mandare perduti i ricordi e le persone, ho deciso di scrivere questo libro mettendoci dentro tutto, le battute e gli aneddoti che per me erano familiari, erano casa, aggiungendoci ciò che mi rende lo scrittore che sono...L'amore.

Sta già lavorando a qualche nuovo progetto?

Sì, ho pronto un nuovo romanzo che s’intitola Bosco Bianco, una storia d’amore completamente diversa da quella de L’ultimo caffè della sera, stavolta niente caffè, bar e poca Roma. Per ora non ha ancora una data di uscita, perché al momento sono concentrato sull’uscita de L’ultimo caffè della sera in tutti i paesi di lingua spagnola e in tutti quelli di lingua tedesca e di una mia visita in Bulgaria per incontrare i miei amici lettori bulgari, ma soprattutto sto lavorando ad un progetto internazionale per la trasposizione cinematografica de Il primo caffè del mattino.

Immagini per gentile concessione dell’autore