CIAO MAGAZINE

View Original

DRIVE MY CAR - Da Murakami una storia di solitudine e speranza

Mentre scorrevano le prime scene di Drive My Car, il mio primo pensiero è stato: 'Sì, mi sembra tipico di Murakami...' e invece non era così. Quello che succede in apertura del film, è un’ 'aggiunta' molto originale e gradita alla trama del racconto di Haruki Murakami dallo stesso titolo.

La versione italiana di Uomini senza donne, di Haruki Murakami – una raccolta di racconti che include Drive My Car – si trovava nella mia libreria da tempo, ma non l’avevo ancora letta. Così, questa volta, ho deciso di avvicinarmi prima al film, di cui ho molto apprezzato come l'adattamento per il grande schermo abbia aggiunto spessore alla trama, che nel racconto di Murakami è dettagliata ma meno intrigante. Non è un caso che Drive My Car sia in corsa per il Premio Oscar 2022, non solo come ‘Miglior Film Internazionale’ ma anche come ‘Miglior Film’.

Una volta terminato il film e ultimata la mia lettura del racconto, posso dire di avere ancor più apprezzato l’adattamento cinematografico. È normalmente difficile condensare al meglio un’opera letteraria quando se ne trae un film ed è per questo che a volte si rimane delusi dalle sceneggiature. Ma questa volta il film, diretto da Ryûsuke Hamaguchi (che ha scritto la sceneggiatura con Takamasa Oe) rende magistralmente lo stile di Murakami, in cui i dettagli e i dialoghi giocano un ruolo molto importante. Inoltre, Hamagichi e Oe, sono riusciti a creare una trama molto più ricca, a partire dai primi fotogrammi e – decisamente – nella parte finale.

Il protagonista, Yusuke Kafuku (interpretato da Hidetoshi Nishijima) è un attore e regista teatrale che ha una particolare collaborazione lavorativa con sua moglie, Oto (Reika Kirishima). Oto è una sceneggiatrice che crea storie durante i loro rapporti sessuali, recitando gli sviluppi della trama in uno stato di quasi trance. Kafuku coglie i suoi suggerimenti, completa la storia e la concretizza nei suoi pezzi teatrali. Questo dettaglio risulta importante nel rapporto altrimenti logorato tra marito e moglie – ma non lo si trova nella storia di Murakami.

Ciò che risulta da subito molto chiaro è la solitudine di Kafuku e la sua inadeguatezza a comunicare con la moglie per questioni che non siano legate al loro lavoro. Kafuku è incapace di affrontarla per la sua infedeltà, una volta scoperto il tradimento (cosa di cui è invece consapevole da tempo nel racconto). Nel film, sembra che Oto senta che suo marito è a conoscenza dei tradimenti e lei stessa vorrebbe tanto attirare la sua attenzione per far parte di una conversazione che non avviene mai. Il senso di rimorso per questo fallimento, dopo la morte improvvisa della donna, fa sprofondare Kafuku in stati d'animo cupi e ancor più solitari.

Due anni dopo, Kafuku è a Hiroshima, a dirigere una produzione di Zio Vanja di Anton Cechov. Per quanto riguarda l’opera teatrale che Kafuku sta preparando, dobbiamo essere grati alla maestria dei due sceneggiatori, che aggiungono un dettaglio molto importante e insolito al racconto dello scrittore giapponese: gli attori scritturati per Zio Vanya provengono da diversi Paesi, e una di loro è sordomuta. Il risultato è una rappresentazione teatrale in lingue diverse: una metafora della difficoltà di comunicazione tra le persone.

A Hiroshima, Kafuku chiede un alloggio lontano dal teatro perché gli piace guidare e ripetere ad alta voce i copioni registrati dalla moglie sulle cassette, ma – a causa del suo glaucoma – la direzione del teatro lo obbliga a prendere un'autista, Misaki Watari (Tōko Miura). Kafuku non si è mai fidato molto delle donne al volante, soprattutto quando si tratta di guidare la sua auto. Questo scetticismo è chiaramente espresso nelle prime righe del racconto di Murakami: "Per la maggior parte, le donne prestavano più attenzione ai dettagli, e ascoltavano bene. L'unico problema si presentava quando saliva in macchina e trovava una donna seduta accanto a lui con le mani sul volante. Questo era impossibile da ignorare. Eppure non aveva mai espresso la sua opinione sulla questione a nessuno. In qualche modo l'argomento gli sembrava inappropriato".

Ma presto, Kafuku deve ammettere che le capacità di guida di Misaki sono eccellenti. I due passano gran parte del film in giro per la città nella Saab rossa vintage di Kafuku (originariamente gialla, nel racconto), un punto luminoso su strade grigie e senza fine. In qualche modo, nei lunghi silenzi che fanno parte delle sequenze di guida, i due formano presto un legame speciale e Kafuku si sente sempre più a suo agio e rilassato in compagnia della donna, al punto che iniziano a parlare di questioni molto personali. Misaki sembra essere in grado di leggere quello che passa nella mente di Kafuku. La donna è discreta ma non impassibile e porta con sé il proprio bagaglio emotivo, non lasciando trasparire i suoi sentimenti fino a molto più tardi. Sicuramente Misaki risulta ben più accessibile di come viene descritta all'inizio – nel racconto originale – da Oba, l'uomo che lavora al garage e che la raccomanda: "Be’, ecco, è un po’ scontrosa, di poche parole. E fuma ininterrottamente. Quando la vedrà, capirà cosa voglio dire. Non è il tipo della bambolina, insomma. Non sorride mai. A dirla tutta, si potrebbe quasi definire... sí, un po’ rozza."

Passando sempre più tempo insieme, sia Kafuku che Misaki riusciranno a venire a patti con i propri traumi personali. Tutto questo accade mentre Kafuku decide di scegliere l'amante della moglie, Koji Takatsuki (Masaki Okada), come attore principale dell’opera teatrale che sta allestendo. Takatsuki, nonostante la sua giovanissima età, dovrà interpretare lo zio Vanja, un ruolo normalmente interpretato dallo stesso Kafuku.  Kafuku è consapevole che potrà conoscere meglio sua moglie attraverso le confessioni di questo affascinante giovane, pagando tuttavia il prezzo emotivo della sua incapacità di affrontare la moglie quando era il momento di farlo. Notevole la scena dai potenti primi piani, in cui i due uomini sono seduti uno vicino all'altro sul sedile posteriore dell'auto. La trama del film, ancora una volta, devia dalla storia originale.

In definitiva, il titolo del film (e del racconto) condensa esattamente tutta la trama: il passare ore interminabili in uno spazio dove Kafuku può sentirsi al sicuro e accudito, e dove Misaki può fare ciò che meglio le riesce per mettere da parte i fantasmi del passato: guidare.  

Il racconto di Murakami è molto ancorato ai dettagli, e il narratore onnisciente li descrive con grande attenzione. Molto importanti sono, come nel film, i dialoghi, che sostengono l'intera trama: dialoghi tra marito e moglie, Kafuku e Misaki, e tra Kafuku e Takatsuki (l'amante di Oto). Questo incontro è particolarmente importante per Kafuku, perché gli permette di affrontare il rimpianto di essere stato al corrente dell'infedeltà della moglie senza aver mai reagito, e di realizzare che la sua vita è stata solo una continua "recita".

“Mostrarsi sereno, mentre dentro di sé si sentiva lacerare il petto e ribollire il sangue. Portare avanti con noncuranza le solite attività quotidiane, conversare in modo naturale, fare l’amore con lei nel loro letto. Non era una cosa alla portata di chiunque. Ma Kafuku era un attore professionista. Distaccarsi da sé e immedesimarsi in un ruolo era il suo lavoro. E recitava mettendoci l’anima. Una recita senza spettatori.”

Nel film, mancando il narratore, tutto ciò è lasciato alla nostra osservazione dell'espressione spesso impassibile e priva di emozioni di Kafuku, della sua apatia, del suo fingere di vivere una vita normale con sua moglie, del trauma di una perdita che – all'inizio della loro vita coniugale – ha contribuito notevolmente a mettere a dura prova il loro rapporto. Kafuku è consapevole che la sua vita è stata una continua personificazione di ruoli diversi, esattamente come il suo lavoro. Quando Misaki cerca di indovinare perché abbia voluto fare l'attore, chiedendo:

– Cosa? Diventare qualcuno di diverso?

Lui risponde:

– Sí. Ma solo a condizione di poter tornare indietro.

– Non ha mai provato il desiderio di non tornare?

Kafuku ci pensò un po’ su. Era la prima volta che qualcuno gli faceva una

domanda del genere […]

– Be’, dove altro avrei potuto andare? – disse.

Sarà difficile, ma grazie all'aiuto di Misaki, Kafuku – finalmente –"andrà altrove", e lo stesso succederà alla donna, tramite i loro viaggi personali di espiazione e guarigione, molto ben sviluppati in questo eccellente film.

I personaggi sono l'anima di Drive My Car. Attraverso la loro evoluzione, i primi piani, e i lunghi momenti di silenzio in un film di tre ore che non sembra mai troppo lungo, Hamaguchi ci mostra il potere del linguaggio, la solitudine, l'amore, l'incapacità di accettare il proprio passato e la nostra vulnerabilità nel condividerlo con gli altri.

(I testi riportati nell’articolo sono tratti dal racconto ‘Drive My Car’ - ‘Uomini senza Donne’, Einaudi, 2014. Traduzione di Antonietta Pastore)

Link all’articolo in inglese qui

In copertina:
un dettaglio della locandina