LIA ORIGONI – I cento anni della violetera
Lia Origoni è una figura leggendaria del cinema, della musica e dello spettacolo a livello internazionale, tra i talenti più dotati del suo tempo. Artista dalla voce delicata ed incisiva, ha saputo sfruttare il suo grande spessore tecnico per costruire un repertorio che spazia dalla musica folclorica alla musica antica, dal classico al romantico, dalla musica moderna alla canzone contemporanea. Ma non solo. Cinema, teatro, varietà, televisione: la Origoni incarna perfettamente l’immagine della diva del Novecento, con una carriera che l’ha portata ad esibirsi in palcoscenici di fama mondiale quali il Winter Garten, la Scala di Berlino, il Moulin Rouge o l’Opera di Roma, solo per citarne alcuni. Tra i personaggi con i quali ha lavorato troviamo nomi del calibro di Totò, Anna Magnani, Strehler, Cary Grant: la lista potrebbe continuare all’infinito, perché la “violetera della Scala di Berlino”, come l’ha definita Gian Carlo Tusceri nella biografia a lei dedicata, il Novecento lo ha attraversato tutto, fino ad arrivare, lo scorso 20 ottobre, a celebrare il suo centenario a La Maddalena, suo luogo d’origine. Cento anni in cui Lia ha vissuto esperienze meravigliose ma anche il dramma della guerra. Questa straordinaria protagonista del XX secolo ci conduce in un emozionante viaggio nel tempo, ricco di aneddoti e curiosità, e non smette mai di sorprenderci per la sua incredibile energia ed esuberanza.
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Buongiorno Signora Origoni. Innanzitutto, tantissimi auguri per i suoi 100 anni, celebrati da poco in uno dei luoghi più belli del mondo: La Maddalena, la sua terra. Come ha festeggiato?
Buongiorno a voi. A dire la verità mi accingevo ad organizzare il mio compleanno come al solito, a casa mia, con il mio strettissimo gruppo di amici quando proprio questi ultimi, qualche giorno prima della ricorrenza, mi hanno 'sollevato' dall'incarico di organizzatrice della mia festa: “Questa volta pensiamo a tutto noi”. Mi sono ritrovata il giorno del mio compleanno a fare il mio ingresso nel salone consiliare del comune di La Maddalena tra gli applausi provenienti da una folta, quanto inaspettata, platea di concittadini. E poi interviste, la proiezione del docufilm “Lia: music non stop” a me dedicato, gli auguri del Teatro dell'Opera di Roma, il taglio delle torte, brindisi e tantissime richieste di fotografie. Anzi di selfie, come dite ora. Una giornata veramente speciale terminata, infine, con gli auguri a me rivolti dalla Camera dei Deputati. Tante le emozioni e l'impegno fisico necessario a sostenerle, che ho dormito due giorni di seguito.
Ripercorriamo un po’ la sua carriera. Il suo esordio avviene alla tenera età di 4 anni, durante uno spettacolo all’asilo, presso l’Istituto San Vincenzo. C’è un aneddoto molto simpatico che è legato a quell’evento. Ce lo può raccontare?
Vestivo un paio di mutandoni infiocchettati nei panni dell'olandesina, cantando Ai polli porto il grano. Ricordo che, nel bel mezzo di un acuto, sentii sfilarsi dalla vita un laccio e i mutandoni cadere fino alle caviglie. Una situazione piuttosto ridicola. Ricordo ancora le lacrime che mi colavano sulle guance; eppure, continuai imperterrita a cantare, senza stecche, fino all'ultima strofa, tra gli applausi calorosi e fragorosi del pubblico.
La sua prima vera audizione, però, avviene a 15 anni a Caprera, davanti alla tomba di Giuseppe Garibaldi, su invito della figlia Clelia e del grande tenore Bernardo De Muro. Che ricordo ha di quel giorno?
Eravamo tutti sotto l'ombra di un pino, quello che oggi è conosciuto come il pino di Clelia, ovvero l'albero piantato da Garibaldi per ricordare la nascita di sua figlia. Mio zio Giacomo mi presenta al tenore e gli chiede un parere sulla mia voce. Invitata a cantare, propongo ed eseguo l'Ave Maria di Schubert, che avevo sentito in un film della allora famosa Marta Eggerth, la cui musica mi venne regalata da un militare e che spesso cantavo. Al termine dell'esecuzione, il tenore batte su un diapason e mi chiede di fare un vocalizzo su quella tonalità. Cosa che io faccio, con successo. Allora mi prende da parte e mi consiglia di lasciare lo studio del violino e di dedicarmi solo ed esclusivamente al canto, perché vede in me un grande talento. Un'altra cosa che ricordo con affetto e riconoscenza è che, oltre ai consigli musicali, mi invitò ad abbandonare gli studi liceali e prendermi un diploma magistrale, perché utile per un futuro e perché avrei avuto più tempo per i miei studi canori.
Dopo una breve esperienza nella radiotelevisione, il successo in Italia arriva con Quando meno te lo aspetti, una produzione di Michele Galdieri che vede protagonisti anche Totò e Anna Magnani: due figure leggendarie. Che rapporto ha avuto con ciascuno di loro, sia a livello professionale che personale?
Fin dagli inizi della nostra collaborazione Totò, forse a causa dei miei ventuno anni e la mia ingenuità in termini di civetterie o cattiverie nel mondo del teatro, ha sempre mostrato nei miei confronti un atteggiamento quasi paterno. Ricordo ad esempio che durante le pause delle prove, dietro le quinte, quando gli attori si scambiavano confidenze particolari, battute indecenti o barzellette oltre le righe, verificava sempre che io non fossi nei paraggi e, se per caso lo ero, mi fissava in silenzio e poi sempre paternamente mi diceva: “O ti allontani, o la smettiamo di raccontare barzellette”. E' stata una persona cara, per me: non mi ha regalato niente e niente gli ho regalato, ma si è conquistato la mia stima e il mio rispetto, in teatro, più di qualunque altra persona con cui ho lavorato. Era, nella vita, davvero un signore. È opportuno che glielo si riconosca.
Con Anna Magnani, grande attrice e professionista, la partenza non fu delle migliori. Al susseguirsi delle serate cresceva il calore del pubblico nei miei confronti e questo determinò la scalata delle posizioni sul proscenio, fino a farmi giungere affianco proprio della Magnani. Questo fatto non le era molto gradito. Una sera, nel corso di una replica, mentre la Magnani usciva di scena dalla stessa scala dalla quale stavo entrando io, piuttosto scocciata per l'ormai abituale grande applauso che mi stava per accogliere, mi sferrò un calcio alla caviglia. Al termine dello spettacolo, giunta al ristorante mi avvicinai al tavolo dove cenavano Toto e la Magnani e chiesi spiegazioni all'attrice. Lei così replicò: “Mia cara o lei mette la parrucca o deve farsi bionda. Non può rimanere con quei capelli, perché la gente si confonde e l'applaude pensando che sia io”. Le risposi “Con questo colore di capelli ci sono nata e nessuno mi obbligherà a cambiarlo”. Lo spettacolo continuò a mietere successi e i miei capelli a mantenere il loro colore naturale!
Nell’ottobre 1942 avviene il suo debutto in Europa, presso la Scala di Berlino. Si ferma in Germania per quasi un anno, conquistando un grande successo internazionale in un contesto storico molto difficile. Che ricordo ha di quel periodo? Quali difficoltà ha dovuto affrontare?
Arrivai a Berlino nell'autunno del '42. Ero molto giovane ed inesperta e l'impegno che si prospettava era arduo, ma siccome ero (e sono tuttora) ottimista e testarda (sono sarda!), mi imponevo di pensare che le cose sarebbero potute andare solo bene. Ebbi ragione. Alla Scala di Berlino il successo arrivò quasi immediatamente. Ricordo il pubblico esultante mentre passavo tra loro cantando La violetera e dispensando violette. Pensi che lo spettacolo era ritenuto così importante da far sì che questi fiori arrivassero freschi, tutti i giorni, dall'Italia. Lo stesso successo lo ottenni successivamente, esibendomi in varie tournée e soprattutto al teatro Winter Garten, altro importante teatro della Berlino di quei tempi. Però, più il tempo scorreva e più le condizioni si facevano difficili: in quel periodo Berlino veniva bombardata frequentemente. Ogni tanto penso a quando risiedevo all'Hotel Eden, uno dei migliori alberghi di Berlino, nelle cui immediate vicinanze si ergeva la più importante batteria contraerea a difesa della città. Ebbene, il famosissimo e bellissimo hotel non aveva un rifugio antiaereo. Provate ad immaginare quello che poteva passarmi per la mente quando suonavano le sirene, le bombe cadevano vicine e noi, gli occupanti, praticamente nella hall dell'albergo a sperare che andasse bene. Tanti fotogrammi sono impressi nella mia mente: uno tra tutti, un gigantesco poster del mio spettacolo con il mio nome sopra, affisso ad un muro di un edificio crollato. Adesso che ci penso, forse quella immagine rappresentava proprio il mio spirito vitale. Tante anche le preoccupazioni per i miei genitori, che comunque riuscivo a sentire tutti i giorni, e per mio fratello al fronte. Tante le difficoltà, in particolare all'indomani dell'arresto di Mussolini, dopo la crescente ostilità dei tedeschi nei confronti di noi italiani. La preoccupazione di rimanere sequestrata in Germania. La mia conseguente fuga a bordo di un vagone ferroviario diplomatico, ed il mio nome che veniva annunciato dagli altoparlanti alla stazione di Monaco, per far sì che io scendessi immediatamente per “comunicazioni urgenti”. Non scesi da quel treno e arrivai in Italia.
È vero che, durante il suo soggiorno in Germania, rifiutò un invito a cena di Goebbels?
Accadde in coincidenza del mio periodo di massima popolarità in Germania. Il mio nome compariva nei quotidiani, nelle gigantografie sui muri degli edifici del centro di Berlino. Addirittura, alla fine del ’42, una mia fotografia in abiti di scena veniva pubblicata come copertina del calendario tedesco degli artisti per l'anno 1943. Forse, a causa di questa mia sovraesposizione mediatica – come dite voi oggi – si accorse di me anche Goebbels, il ministro della propaganda del Reich: l'uomo più potente in Germania, subito dopo Hitler. Decise di organizzare una cena di gala in mio onore e di sedere con me al tavolo. Inizialmente perplessa per questo invito, poi sconcertata, comunicai infine il mio rifiuto. Questo rifiuto provocò forti preoccupazioni, sia tra gli ambasciatori culturali italiani sia nell'organizzazione teatrale: in particolare l'impresario Duisberg, che mi paventò possibili reazioni spropositate da parte dei gerarchi. “Mi scusi: ma lei mi ha assunto per cantare in teatro o per andare a cena con i gerarchi del Reich?”, replicai io, confermando la mia irremovibilità. La cena in mio onore si fece: al mio fianco una sedia vuota e come segnaposto di Goebbels il libro Gli artisti italiani in Germania, a me dedicato. Ecco com'è andata!
Rientrata in Italia, inizia la sua collaborazione con Macario e, subito dopo, con un giovanissimo Strehler alla Scala di Milano. Ci può parlare di quelle esperienze?
La collaborazione con Macario ebbe qualche incidente di percorso. Mi corteggiò, artisticamente, almeno un paio di anni, finché un giorno accettai di partecipare a Le follie di Amleto ma ad una condizione, il mio nome sarebbe dovuto passare ugualmente in ditta: Macario-Lia Origoni. La sera precedente il debutto all'Odeon di Milano, Macario – che mal sopportava di condividere la ditta con altri – fece uscire i cartelloni con il solo suo nome in grande. Non potevo ignorare questo sgarbo e da subito reagii in maniera durissima obbligandolo – sotto la minaccia di far saltare lo spettacolo – a far ripristinare immediatamente i cartelloni come da accordi. Altro episodio spiacevole fu quando, insistendo a pubblicizzare il fortunato spettacolo, lo definì alla stampa come uno spettacolo frizzante dove “Macario e le sue donnine” si impegnavano al massimo per le esigenze del pubblico. Ero arrivata al limite. Non riuscivo più a sopportare questo atteggiamento, perciò presi la decisione di lasciare la compagnia. Per ritorsione, Macario sequestrò tutti i miei bauli per trattenermi e poi si addivenne ad una causa legale, da me vinta. Tengo, però, a precisare che comunque, successivamente, con Macario mantenemmo un rapporto cordiale. Proprio dopo questo episodio, visto che non stavo più esercitando la mia voce su brani lirici di particolare impegno, volli verificare le mie capacità e mi presentai alla Scala per chiedere un parere al maestro Tullio Serafin, che aveva sostituito Toscanini come direttore musicale, e che io già conoscevo dai tempi dell'Opera di Roma. Serafin in quel momento non era presente e fui accolta dal maestro Tieri che, invece di chiedermi alcuni vocalizzi, mi propose una vera e propria audizione. Cantai Io son l'umile ancella, il mio cavallo di battaglia. Ne uscii con la parte di Flora nella Traviata. Così sono arrivata alla Scala! Tornando alla domanda, la regia era stata affidata ad un giovane molto promettente, appunto Giorgio Strehler. Di lui ho questo ricordo, che ancora oggi fa piacere: ebbene, mentre dispensava consigli, movimenti e gestualità agli attori in scena, si avvicinò a me e mi disse: “A te non devo dire niente. Muoviti come ritieni più opportuno”.
Il passaggio dal varietà alla lirica non era molto comune all’epoca, e forse non lo è neanche oggi. Per lei non dev’essere stato semplice. Come è riuscita a gestire, e a far accettare al suo pubblico, una carriera così poliedrica?
Proprio per la mia grande versatilità mi si presentavano tantissime occasioni di lavoro, spesso completamente diverse tra loro. Basti pensare che dal varietà sono passata direttamente all'opera lirica alla Scala di Milano. Per esempio, questa cosa non era gradita ai puristi e denigratori vari. Sta di fatto che il successo arrivò e la critica fu entusiasta. Il pubblico, anche se una parte di esso può essere prevenuto, è sempre in grado poi di apprezzare la qualità dell'interpretazione, il talento e l'impegno.
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Nel 1949 il ritorno alla radiotelevisione. Lei, però, non ha mai nascosto la sua predilezione per il teatro. Cosa le dava di più, il palcoscenico, rispetto alla radio e al piccolo schermo?
Ho sempre amato il palcoscenico e le emozioni che ne scaturivano. Ho sempre affrontato con la stessa tensione tutte le mie prove, tutte le mie canzoni, tutti i miei concerti: l'ultimo è stato come il primo ed il primo come l'ultimo. Non sono mai riuscita a godermi la vita, a visitare da turista le città che attraversavo in tournée, ad andare a ballare. Il palcoscenico ed il mio pubblico erano la mia vita.
Anche a livello linguistico ha dimostrato doti straordinarie incidendo canzoni, oltre che in italiano e in dialetto napoletano, in spagnolo, francese, inglese e tedesco. Esiste un brano che le è piaciuto di più interpretare, o una lingua che trova più espressiva rispetto ad altre?
Sono molti i brani che ho amato interpretare e, proprio perché li ho amati, non posso fare preferenze. Posso però, sicuramente, riconoscere quello che è stato per me il più importante ai fini della mia carriera: Tu che mi hai preso il cuor, la romanza tratta dall'operetta Il paese del sorriso (Das Land des Lachelns). Grazie a questo brano, ottenni sia la scrittura per la Tv sperimentale con l'EIAR sia quella per Quando meno te lo aspetti (Galdieri-Totò-Magnani).
Nel 1967, ancora molto giovane, decise di dire addio alle scene. Come maturò questa decisione? Si è mai pentita di aver lasciato il mondo dello spettacolo?
Su questa decisione pesa molto una promessa che feci a me stessa durante un'esibizione alla Scala di Berlino, insieme a Tito Schipa. Sostituivo la soprano Caterina Boratto – non al meglio della sua condizione fisica – proprio su insistenza di Schipa. Lo spettacolo ebbe inizio e subito notai che la voce del tenore era molto, troppo lontana da quella di un tempo. Il raffinato pubblico tedesco se ne accorse subito e, pur applaudendolo (più per la sua fama che per l'esibizione) omaggiò me in maniera particolarmente calorosa, quando intonai Core ingrato. Lessi sul volto di Schipa il dramma della porta del tracollo artistico e, seppur felice per la mia affermazione soffrii per lui. Fissai questo episodio nella mia memoria e mi feci una promessa: “Lia, tu non dovrai mai arrivare a questa situazione. Meglio uscire di scena prima”. Così feci. Ad oggi non solo non mi sono mai pentita di questa decisione ma, anzi, apprezzo sempre più la validità di quella scelta.
A cosa si è dedicata, in seguito?
Dopo un breve periodo di riflessione ho iniziato una proficua collaborazione con Giorgio Shenker, fondatore di metodi per insegnare l'inglese. Inizialmente, la collaborazione tra di noi fu piuttosto conflittuale ma, via via, diventò sempre più costruttiva sfociando nel 1969 nella nascita, a Roma, di una scuola da me diretta e avente lo scopo di somministrare corsi di inglese presso grandi aziende quali Chevron, Acciaierie Terni, Tirrenia, Agip ecc. Questa avventura durò quasi venti anni. Nel 1988, sciolta la società, tornai a La Maddalena. Un altro ciclo importante della mia vita era terminato.
Una delle sue grandi passioni è l’informatica, che ha scoperto all’età di ottant’anni e nella quale si è gettata a capofitto, arrivando perfino a rigenerare, da sola, le sue vecchie registrazioni in RAI e trasformandole in MP3. Come è nato questo suo interesse?
Esattamente all'età di 80 anni, complice la mia passione per la tecnica e le tecnologie, decisi di acquistare un personal computer. Qualcuno mi suggerì che, invece di utilizzare i nastri magnetici per riversare e conservare la mia musica, avrei potuto utilizzare il pc e trasformarla in file mp3, conservarla sul pc, masterizzarla su CD e addirittura condividerla su internet. Acquistai allora una costosissima scheda audio, svariati manuali di informatica e cominciai l'opera di digitalizzazione della mia musica. La cosa che più mi colpiva era però l'aspetto della condivisione: tantissime persone si collegavano da varie parti del mondo e a tutte le ore per prelevare la mia musica condivisa.
Un secolo di storia: qual è l'avvenimento che mai avrebbe immaginato di vivere?
Ho assistito allo scoppio della seconda guerra mondiale, all'ingresso in guerra da parte dell'Italia, alla guerra civile dopo l'8 settembre del ‘43, alla fine della guerra e alla nascita della Repubblica, al boom economico, allo sbarco dell'uomo sulla luna, alla costruzione del muro di Berlino (che, tra l'altro, ho attraversato più volte per portare della carta da musica ad un amico compositore, che viveva nella parte Est) e alla sua demolizione, al brivido della possibile terza guerra mondiale, all'attentato alle Torri Gemelle e a tanti, altri, formidabili eventi. Il fatto, però, di aver passato gran parte della giovinezza nell'incertezza del proprio domani fa sì che, alla fine, l'evento che mai avrei immaginato di vivere è proprio il mio centesimo compleanno!
Qual è stata la lezione più importante che le ha insegnato la vita?
Ricollegandomi a quanto dicevo prima, oltre ai pericoli per la mia vita causati dalla guerra si aggiunsero almeno un paio di occasioni nelle quali sedicenti partigiani comunisti tentarono di passarmi per le armi. Il conseguente senso di precarietà della vita era in me molto marcato e questo ha molto condizionato il mio comportamento. Ho sempre preferito prendere di petto ogni situazione, direttamente, velocemente, piuttosto che agire per false scorciatoie e vie laterali, apparentemente più comode e sicure ma delle quali i maggiori tempi di percorrenza sarebbero potuti essere per me fatali. Ho sempre agito in questo modo e se sono qui, oggi, a parlarne, allora devo concludere che questa è stata la lezione più importante che mi ha insegnato la vita.
In copertina: Lia Origoni in camerino
Immagini e audio per gentile concessione della Sig.ra Origoni
(liaorigoni.it)
Brani:
Tu mi fai girar la testa, album: Juke Box sentimentale
La farfalletta, V. Bellini, 1967, Monaco di Baviera, registrazione con Giuliano Pomeranz