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DA MARRAKECH A CASABLANCA - Viaggio rivelazione tra luoghi eterni

Da tempo avevo maturato l’idea di visitare il Marocco, spinto dal desiderio di approdare nel continente africano e ancora di più inebriato dalle influenze berbere e arabe che permeano questo Paese.  Ho preso dunque un volo dall’Italia e sono giunto nel cuore pulsante del territorio marocchino: Marrakech, ex città imperiale.

La prima sensazione che ho provato è la stessa che ha accompagnato tutto il viaggio, dando conferma giorno dopo giorno della sua veridicità: Marrakech è un ossimoro vivente. Caos e tumulto da una parte, quiete e distensione dall’altra. Caratteristiche che, in antinomia, circondano ogni angolo della città.

Video: Marrakech

L’odore pungente di cumino e falafel inebria chiunque attraversi la Medina, l’organo principale della città, dove il rumore dei motorini che passano svelti, facendo lo slalom tra le persone nelle stradine strette, lascia pian piano spazio al vociare degli abitanti che alternano l’arabo al francese, a seconda del contesto in cui si trovano.

Lampade, babbucce, specchi, tappeti: sono solo alcuni degli oggetti che caratterizzano ogni bottega presente nella Medina, al di fuori della quale artigiani e negozianti sono pronti ad attirare l’attenzione e a cercare di instaurare una contrattazione dalla quale non ci si può assolutamente tirare indietro.

In un luogo dove appare ben distinto il divario tra chi vive in povertà e chi in agiatezza, c’è un elemento che – come spesso accade – è in grado di annullare qualsiasi differenza sociale: il cibo. Che si tratti di un carretto che vende pane arricchito da semi di sesamo e verdura fresca, di un macellaio che espone i tagli di carne davanti a tutti come fossero dei trofei o di un banco che sui carboni ardenti prepara la tajine di pollo, il cibo è in grado di far sedere a bordo strada – su alcuni tavolini improvvisati spesso ricavati da oggetti con altre funzioni – persone del luogo e turisti che, compiaciuti per quello che stanno mangiando, si godono un momento di tranquillità all’interno del caos del suq.

Ad accompagnare ogni turista e cittadino è presente il tè alla menta, simbolo per eccellenza dell’accoglienza marocchina, rigorosamente versato dall’alto verso il basso per favorirne l’ossigenazione. Servita durante una pausa dal calore delle strade della città oppure offerta come benvenuto da un negoziante, questa bevanda racchiude tutta la tradizione e l’autenticità di una cultura che pone l’ospitalità al primo posto.

Non sono state le passeggiate tra le vie di una città così antica e ricca di storia ad avermi fatto percepire questa cultura policronica e affascinante, e nemmeno l’hammam – il tradizionale rito di purificazione del corpo in grado di connetterti con te stesso e con la realtà circostante – bensì il suono dell’adhān. Il richiamo della preghiera alle 6:30 del mattino, eseguito dal muezzin nel silenzio della città ancora dormiente, invade ogni angolo di Marrakech, riecheggiando tra le mura del riad – la tipica abitazione marocchina – e apre le porte di accesso a un mondo che al nostro occhio potrebbe apparire come ‘distante’ ma la cui distanza, tuttavia, si annulla in una catarsi purificatrice.

Dalla città rossa – nome con cui Marrakech è conosciuta per via del colore rosso ocra che contraddistingue tutti gli edifici e le strutture della città – mi sono poi spostato sulle coste dell’Oceano Atlantico per visitare la più grande città del Marocco: Casablanca. Molto diversa dalla precedente per densità di popolazione (vanta più di quattro milioni di abitanti) e per architettura, dispone di edifici e strutture architettoniche moderne che la classificano come centro economico e finanziario dell’intero Marocco.

A lasciarmi a bocca aperta è la maestosità della Moschea di Hassan II (sotto). Il beige e il verde fanno da padroni in questa imponente costruzione a picco sul mare, dove il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli, ben visibili quando c’è la bassa marea, fa da sfondo a questa maestosa struttura che regna sovrana sopra tutta la città. Quando il richiamo della preghiera riecheggia in tutta Casablanca, il cielo si tinge di arancione e la moschea sembra brillare di luce propria.

Ancora una volta, appare ben chiara la ricchezza storico-culturale che pervade ogni angolo del mondo e si comprende quanto sia bello riuscire a fruirne, arricchendoci di momenti indelebili. Come disse Giacomo Leopardi: “un luogo non è poetico se non desta alcuna rimembranza”.

A collegare queste due magnifiche città – Marrakech e Casablanca – è presente una strada di 240 km, caratterizzata per metà della sua lunghezza da dune rosse e da un paesaggio desertico che, dai finestrini dell’auto, appare di una bellezza disarmante.

Nonostante la tristezza inizi a farsi largo con la consapevolezza che la vacanza stia volgendo al termine, la meraviglia che mi circonda mi ricorda quanto io sia fortunato ad avere l’opportunità di conoscere il mondo circostante e il rammarico sparisce presto, certo che la parte del Marocco per me inesplorata sarà presto conosciuta.

Questo viaggio mi ha permesso di venire a contatto con una nuova cultura, che mi ha mostrato l’importanza delle sue radici. I marocchini sono legatissimi alle proprie tradizioni. Dall’ospitalità all’alimentazione, dalla religione ai propri usi e costumi, nessuno di loro ha mai perso l’occasione di parlare del proprio Paese, orgogliosi di un operato prezioso appartenente a un patrimonio culturale e intellettuale unico al mondo.

Ho lasciato in Marocco una parte del mio cuore ma sono tornato a casa arricchito di emozioni ed esperienze che pochi luoghi al mondo hanno la possibilità di trasmettere.

In copertina:
Marrakech (mercato) © Monica Volpin

Crediti fotografici:
Tè alla menta © Musa Ortaç
Moschea (interno) © Greg Montani
Moschea (esterno) ©
YakupIpek