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I TRABOCCHI - 'Macchine da pesca' con una vita propria

“Parto per San Vito”.

Così esordiva ogni estate, Antonio, mio caro amico da ormai trent'anni. E mi parlava del mare, della gioia speciale di tornare a casa, delle meravigliose zuppe di pesce e degli infiniti pasti a base di ‘pescato’.

“Dovresti venire un giorno”, mi diceva. “È un posto speciale“.

Sapevo che San Vito si trovava in Abruzzo, ma - sinceramente – niente di più. Non avevo neppure idea che il suo nome completo fosse San Vito Chietino. Non era per me un luogo fisico, ma il paese che Antonio raggiungeva in auto ogni estate per visitare i suoi genitori e passare un po' di tempo in spiaggia, o mangiando e cucinando pesce, godendosi vacanze interminabili. Era piuttosto uno dei tanti luoghi legati ai sentimenti di ‘casa’, lontano dal trambusto di Milano.

Così, quando nel maggio di quest'anno, Antonio mi ha inviato un messaggio WhatsApp con una foto di acque cristalline e quella che sembrava una palafitta polinesiana collegata a uno stretto pontile,

"È davvero a San Vito?" gli scrissi, "Il mare è davvero così limpido?”

“Sì,” mi rispose. “Se non ci credi, vieni a vedere”.

Tre giorni dopo, con la mia amica e compagna di viaggio Laura, ho prenotato un alloggio Airbnb a San Vito Chietino, dove avremmo passato dieci giorni, a luglio. 

Guidare verso sud da Milano per 620 km è stato il prezzo da pagare per entrare nel mondo di Antonio, per rendersi conto che quella che sembrava una palafitta sospesa sul mare era, in realtà, un 'trabocco', e scoprire che San Vito Chietino - compresa la parte alta del paese (dove si trovava il nostro alloggio), più antica e decisamente affascinante - era molto più dell'ennesima dimora da ‘estate italiana’. Era il luogo da cui potevamo esplorare la Costa dei Trabocchi, ma anche le zone interne e i paesi più vicini alle montagne.

L'Abruzzo ha una geografia interessante e, oltre alle spiagge e alle località di mare, ospita tre parchi nazionali, un parco regionale e quasi quaranta riserve naturali protette. La regione è una delle zone più verdi d'Europa.

Ma torniamo a ciò che mi ha più colpita durante la mia vacanza. Il ‘Trabocco’ è una sorta di ‘macchina da pesca’. Ci sono molte storie sulle origini di queste particolarissime strutture che si trovano non solo in questa zona dell'Abruzzo ma anche in altri luoghi della costa adriatica, pur con caratteristiche diverse che però - a mio parere - non le rendono altrettanto affascinanti. Alcuni pensano che risalgano all'epoca fenicia, altri che abbiano origini più recenti e che furono un'ingegnosa invenzione per assicurare un riparo sicuro ai pescatori che non dovevano, in questo modo, avventurarsi nel mare burrascoso.

Il ‘trabocco’ o ‘travocco’ è costruito con legno di pino, capace di resistere alla salsedine e ai forti venti di maestrale che soffiano sull'Adriatico. La forma ricorda una vera e propria palafitta che si trova alla fine di una passerella protesa nel mare, ancorata agli scogli da grandi tronchi da cui si estendono due o più lunghe braccia. Queste ‘braccia’ sono sospese a qualche metro dall'acqua e sostengono un'enorme rete.

La pesca non è cosa da poco. La profondità del mare in cui è posizionato il trabocco e il suo orientamento - che sfrutta le correnti - sono elementi molto importanti per i pescatori, che devono essere abbastanza abili nel manovrare la rete, calata in acqua con un complesso sistema di argani, per poi prontamente ritirarla per recuperare il pescato. Sono necessarie almeno quattro persone, che si dividono i compiti di avvistamento e di manovra della rete.

I trabocchi sono invenzioni intelligenti, uniche nel loro genere, e abbondano in letteratura. I primi e più antichi documenti che ci parlano dei trabocchi in Abruzzo risalgono al XIII secolo. Padre Stefano Tiraboschi dell'Ordine Celestiniano, nel suo manoscritto sulla vita di Papa Celestino V, scrisse che il Papa - durante il suo soggiorno al Monastero di San Giovanni in Venere (1240-1243) - si divertiva ad ammirare il mare sottostante, ‘costellato di trabocchi’.

Famose sono anche le descrizioni date dal poeta Gabriele D'Annunzio (cui tornerò più avanti).

Oggi, però, i trabocchi non sono più utilizzati per la pesca, o almeno non principalmente, come in passato. Una trentina di trabocchi, lungo questo tratto di costa abruzzese, sono diventati ristoranti e attirano costantemente la curiosità dei turisti, che colgono la possibilità di cenare sul mare in un ambiente romantico che normalmente ospita al massimo una cinquantina di persone, incluso lo staff.

Punta Fornace

Il cugino di Antonio, Gabriele Nardone, gestisce Trabocco Punta Fornace, sempre al completo. Per questo motivo non abbiamo potuto cenare lì ma abbiamo deciso di far visita a Gabriele per ascoltare la sua esperienza di ‘ristoratore sul mare’.

Il ‘Trabocco Punta Fornace’ ha 60 anni, ed è stato ristrutturato circa vent’anni fa. Gabriele ci lavora da dieci e spiega che, anche quando il trabocco era solo una macchina da pesca, veniva considerato alla stessa stregua degli stabilimenti balneari. E le cose non sono cambiate molto. Per questo è ancora necessario avere una licenza governativa per operarlo, perché si trova su proprietà demaniale. Una legge regionale, nel 2010, ha permesso di gestire i trabocchi come ristoranti, per poterli così preservare e per non lasciarli abbandonati, in balia delle onde del mare, dei venti e della pioggia, senza più alcuna manutenzione.

Come gli altri, anche il ristorante di Gabriele è stato modificato nella sua struttura originaria per fare spazio alla cucina. I trabocchi erano, un tempo, più essenziali, poiché il loro unico uso era quello di permettere ai pescatori di pescare e di avere lo spazio per manovrare l'argano. Da fine ottobre a fine marzo, il trabocco di Gabriele si trasforma nuovamente in una macchina da pesca, aperta ed esposta alle intemperie, e anche le sue tende di vinile trasparente, che normalmente riparano gli ospiti del ristorante, sono rimosse.

Gabriele proviene da una famiglia di ristoratori e ha lavorato in questo campo per qualche tempo. Successivamente, cambiato lavoro, ha commercializzato attrezzature per la manutenzione dei trabocchi. Uno dei suoi clienti, il proprietario del Trabocco Punta Fornace, aveva intenzione di affittarlo. Ed è così che Gabriele ha raccolto la sfida. Dieci anni dopo, il suo lavoro gli piace ancora molto: ci dice che è molto coinvolgente e che non riuscirebbe a farne a meno.

Secondo Gabriele, la sfida maggiore è considerare il trabocco non come un ristorante di passaggio per turisti, ma piuttosto come un locale 'di nicchia' che può offrire un'esperienza di ristorazione unica. Deve rimanere accogliente ed esclusivo, un luogo dove il suono del vento, l'odore del mare e il fruscio delle onde si combinano sia con gli ingredienti di prima qualità provenienti solo dalla zona circostante, sia con il pescato del giorno, acquistato direttamente dai pescatori in base a ciò che il mare può offrire, perché la freschezza assoluta di quel che si serve è un fattore imprescindibile.

Mentre parlavamo con Gabriele, la sagoma del Trabocco Turchino (in copertina, ndr) si stagliava a poca distanza. Questo luogo è stato magistralmente descritto da Gabriele D'Annunzio, il famoso poeta e drammaturgo, rappresentante del Decadentismo, che passava giorni a scrivere nel silenzio del suo eremo, situato esattamente a San Vito Chietino, dove le spiagge di ciottoli e le insenature naturali dalle acque cristalline hanno subito catturato la nostra attenzione. D’Annunzio ha descritto questo trabocco in un famoso passaggio de 'Il Trionfo della Morte':

“La grande macchina pescatoria composta di tronchi intrecciati, di assi e di gomene biancheggiava simile allo scheletro colossale di un anfibio antidiluviano…. pareva vivere di una vita propria avere un’aria e un’effigie di corpo animato. Il legno esposto per anni ed anni al sole, alla pioggia, alla raffica mostrava la sua fibra... si sfaldava si consumava , si faceva candido come una tibia o lucido come l’argento o grigiastro come la selce, acquistava un’impronta distinta come quella d’una persona su cui la vecchiaia e la sofferenza avessero compiuto la loro opera crudele”.

Il Trabocco Turchino non è un ristorante. Si erge come un simbolo della zona, un testimone di eventi passati e presenti, capace di ascoltare i segreti dei pescatori.

Punta Aderci (foto di Paola Caronni)

Qualche giorno prima dell’incontro con Gabriele abbiamo visitato Punta Aderci, un angolo selvaggio e indomito della costa, dove alla fine di uno stretto sentiero si raggiunge un fantastico punto panoramico, da cui poter osservare le lunghe onde che si rincorrono. In fondo alla collina, c’è una baia di ciottoli levigati dall'acqua, cosparsa di tronchi, rami, ramoscelli - pezzi di alberi portati a riva, ora appoggiati lì, sbiancati, cavi come campane tubolari. Qualcuno li aveva impilati, facendo piramidi con rami incrociati e creando così delle capanne che offrono ombra ai girovaghi, cullati dal sibilare del vento.

Proprio lì, all’estremità di un dito di legno che si protendeva sulle acque verdi, ecco un altro trabocco: vuoto, solo, abbandonato. Era bello, maestoso, e sembrava ancora così vivo, mentre allungava le sue braccia verso la generosità del mare. 

Copertina: Trabocco Turchino
(foto: sanvitochietino.info)