UGANDA – Natura selvaggia e incontaminata
Non sono un’amante dei luoghi comuni, perciò, quando mi ritrovo a viaggiare in luoghi altamente turistici, provo un sentimento misto a noia e soffocamento. Questo è uno dei motivi per cui preferisco esplorare altri mondi, alcuni dei quali vittime di pregiudizi che possono generare immagini molto lontane dalla realtà.
Il mio viaggio in Uganda inizia dalla sua capitale, Kampala.
Kampala non ha l’aeroporto: atterro infatti ad Entebbe, precedente capitale dell’Uganda. Cambiare i soldi all’arrivo è facile e non richiedono neanche il passaporto. Prendo le mie migliaia di shillings e mi dirigo, quasi correndo e con l’entusiasmo di un bambino, verso l’uscita. Ad attendermi, una bella ventata di umidità locale! Anche se lontana dai livelli asiatici.
Con un’ora di taxi e 80mila shillings (l’equivalente di circa 20 euro) arrivo a Kampala, dove ho la fortuna di essere ospitata da amici egiziani conosciuti in precedenza, tra un viaggio e l’altro.
La bellezza della capitale risiede nella naturalezza con cui si presenta immersa tra colline verdi, con buganvillee che ornano le vie della città ed una gran mole di gente per strada: chi sta a sedere sui (pochi) marciapiedi che trovo camminando, chi sdraiato sul prato all’ombra di un albero, chi vende uova fresche con un secchio in spalla e chi ti chiede se vuoi un passaggio in moto.
Localmente chiamati boda boda, questi tassisti locali in moto sono davvero ovunque, a qualsiasi angolo della città; a volte spuntano improvvisamente, come funghi, e si sente solo una voce dal nulla chiedere “dove vuoi andare?”.
Il casco? È facoltativo...
La mia prima tappa, che non volevo assolutissimamente perdere, nel centro della città è il Taxi Park: stazione dei mini bus. Centinaia di pulmini tutti attaccati tra di loro, in attesa di far salire passeggeri a bordo e partire.
“Wow”: la prima cosa che ho esclamato nel vedere tutta quella massa di persone e minibus in un’unica piazza; solo al pensiero di capire chi doveva partire per primo avevo già il mal di testa! Voci e urla sulle varie destinazioni dei pulmini come se fossimo al mercato: “Entebbe!”, “Jinja!”, “Mbale!”, ecc. Ma solo pochi minuti dopo, davanti ai miei occhi increduli, partiva il primo, poi il secondo, poi il terzo e così via, lasciando spazio per parcheggiare agli ultimi arrivati.
Credo che il corretto funzionamento del sistema logistico, in casi come questi, sia veramente da Premio Nobel. Ma questo è il fascino dell’avventura. E funziona tutto! Chapeau!
Amante dei mercati locali, dei colori e degli odori che rappresentano, non potevo non provare l’atmosfera del Nakasero Market, dove mi perdo letteralmente tra frutta, verdura e ortaggi, ma soprattutto banane!
Non ho mai visto così tante banane in vita mia: ho poi scoperto che l’Uganda detiene il primato, in tutta l’Africa, sia della produzione che del consumo e che la pianta di banano (platano) viene usata per fare succhi di frutta, birra, vino, farina e, addirittura, cosmetici.
Non molto lontano da lì si trova l’Owino Market: forse il più grande mercato che abbia mai visitato. Mi perdo facilmente tra le bancarelle e, tra una spallata e l’altra, finisco con lo scoprire un nuovo mondo: la lavorazione, dietro le quinte, di frutta secca, legumi e burro di arachidi. Rimango affascinata dalle tonnellate e tonnellate di noccioline che vengono preparate. Chiedendo informazioni ad una signora del posto, apprendo che tutto questo si ripete ogni singolo giorno per far fronte alla richiesta locale essendo, l’arachide, il legume più consumato in assoluto.
La domenica successiva mi sposto un po' più a Nord, precisamente a Jinja, villaggio dal nome esotico e casa di uno dei fiumi più famosi in assoluto: il Nilo.
Immersa in un’infinita valle verde, infatti, si trova la sorgente del secondo fiume più lungo al mondo.
I miei giorni a Jinja si colorano di lunghe camminate in mezzo alla natura, tra la magia dei canti degli uccellini blu e gli sguardi buffi delle scimmie, che sembrano ascoltarti quando provi a parlarci.
La connessione con la natura incontaminata, gli animali e la spontaneità delle persone dona completezza al mio animo nomade. È proprio quando viaggio in solitaria, in luoghi autentici come questo, che ritrovo me stessa, sentendomi più a casa che mai. Non a caso, dò anche nomi alle scimmie!
Lascio Jinja a malincuore: dietro l’angolo, mi attende l’ultima tappa di questo viaggio.
Il punto di arrivo della mia avventura ugandese - un viaggio sia interiore che esplorativo - è la cittadina di Entebbe.
Situata sul Lago Vittoria, ho potuto sperimentarne la traversata il giorno successivo, dall’hotel dove risiedevo fino in aeroporto, a bordo della barchetta di un pescatore. Avendo la fobia dei coccodrilli, ho trascorso i primi dieci minuti ad osservare l’acqua in lungo e in largo per poi finire a rilassarmi e, in realtà, anche a godermi il viaggio.
Di Entebbe non ho visto granché. Avendo prenotato un piccolo hotel lontano dal centro, in mezzo a villaggi locali e direttamente sul lago, ho preferito dare spazio a ciò che l’Uganda mi stava offrendo di meglio. L’arte per me più emozionante: la natura stessa.
Inutile andare a visitare il giardino botanico: quello che avevo intorno era semplicemente il massimo che potessi chiedere. Bambini che saltavano da un posto ad un altro con la fune, stile Tarzan, donne che cuocevano uova in mezzo alla strada… qualcuno dormiva all’ombra di un baobab, cullato dal dolce e leggero fruscio degli alberi al vento. Scene di un mondo magico, fissate in maniera indelebile nella mia mente.
In attesa di tornarci, porterò l’Uganda nel cuore come uno dei luoghi dell’anima, posizionandolo tra i miei Paesi preferiti ed invitando altri viaggiatori a scoprire il fascino della sua autenticità.
In copertina: Martin Pescatore nei pressi del Nilo
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