THARROS – La gemma archeologica della Penisola del Sinis
Qualche tempo fa ho vissuto una fase di confusione e frenesia, che mi ha fatto trovare conforto nella bellezza di ciò che ho di più caro: le immagini e i colori della mia terra, che incessantemente mi rendono fiera di essere sarda. In quel periodo, particolarmente desiderosa di nutrire il mio animo, ho deciso di visitare la magnetica Area Archeologica di Tharros, nell’oristanese penisola del Sinis.
Per arrivare alla biglietteria ho percorso una lunga strada sterrata, e l’aria salubre mista all’intenso profumo di lentisco hanno reso anche questo semplice percorso parte dell’esperienza. Un po’ come quando un miope rimette i suoi amati occhiali e vede tutto più nitidamente, così si è rivelato a me questo luogo: malgrado inizialmente sembrasse una matassa di pietra impenetrabile, gradualmente ha cominciato ad armonizzarsi e a rendermi partecipe del suo mondo.
Tharros ha fatto capolino nella mia testa come un grande prisma di luce a facce riflettenti, ritrovate qui percorrendo le diverse fasi storiche della città. Nata fenicia tra l’VIII e il VII secolo a.C., il suo fascino ha catturato anche gli antichi Romani e le genti del Medioevo, al punto da farla diventare capitale del Giudicato di Arborea.
Subito alla sua destra si staglia una grossa altura, custode della Torre di San Giovanni di Sinis, la litica dominatrice che fa da guardiana ai cosiddetti quartieri di San Giovanni, di derivazione punica e dalle suggestive forme architettoniche. Le costruzioni si adagiano dolcemente lungo il lato est del colle e sembrano quasi simulare dei gradini, che portano alla cima per godersi il panorama.
“Chissà cos’altro hanno da raccontarmi i Fenici?” ho pensato. Ed effettivamente la mia eco interiore si è poi imbattuta nel Tofet, zona rituale punica orientata a nord. Scoperto nel 1962, entro il suo recinto sacro avvenivano riti purificatori durante i quali si utilizzava il fuoco, fonte catartica per il sacrificio di fanciulli. Sulle iscrizioni rinvenute, due sono i nomi particolarmente in evidenza: Baal Hammon e Tanit.
Sono loro le divinità a cui il santuario era dedicato e per le quali i bambini venivano “passati per il fuoco”. Una volta consacrati al calore mistico, le loro ceneri riposavano all’interno di urne ceramiche, tesoro archeologico ritrovato dopo la scoperta del sito. Durante la visita guidata, ci è stato spiegato che le urne contenevano anche resti di animali, per lo più agnelli e capretti.
Andando oltre i quartieri di San Giovanni, il mio incedere ha proceduto seguendo un gomitolo viario, evidenti resti di matrice romana. Arrivata a un bivio, mi sono chiesta che strada prendere e, alla fine, il blu del mare mi ha attratta e mi ha condotta alla zona termale.
Qui ho avuto modo di osservare tre diversi resti strutturali, tra cui l’edificio denominato Convento Vecchio. Messo in luce a metà degli anni Cinquanta, presenta tre livelli, ciascuno con una propria funzione. Ho immaginato, seguendo la voce della guida, gli antichi Romani mentre si addentravano nel percorso termale: dopo essere passati per lo spogliatoio, arrivava il desiderato momento di accedere alle diverse vasche.
La prima vasca è il cosiddetto tiepidario, dotato di acqua tiepida per abituare il corpo all’immersione. Da qui si passava al calidario, in cui le temperature si alzavano notevolmente. Infine, come ultima tappa vi era il frigidario, privo di sistema di riscaldamento. I diversi ambienti erano impreziositi da mosaici, che rendevano i bagni molto più piacevoli, coinvolgendo tutti i sensi. Per i romani, il godimento estremo dell’esperienza era fondamentale. Affinché il tutto fosse ancora più gradevole, si dice che versassero essenze profumate e particolari vini nelle acque termali, accoccolandosi infine in una serie di massaggi rigeneranti, con l’aiuto di ulteriori olii ed essenze.
Riguardo alle primissime origini di Tharros, vale il detto che “nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma”, ed è stato interessante scoprire come sia l’operato punico sia quello romano non siano nati dal nulla, ma si siano adattati a ciò che trovarono prima di loro. Il piccolo seme di Tharros, infatti, fu impiantato fin dall’epoca nuragica, quando l’area conobbe la prima presenza umana.
Il luogo più alto del colle Murru Mannu mi è venuto in aiuto per capire meglio la dinamica. Sebbene non più esistente nella sua interezza, qui sorgeva un villaggio nuragico, probabilmente abbandonato già prima dell’arrivo dei Fenici. Accompagnata dall’intenso profumo della macchia mediterranea, per un attimo ho isolato il mio sguardo, ridefinendo forme e materiali.
La superstite circonferenza delle capanne, realizzate in basalto locale, ha ripreso corpo, ricostruendo nella mia mente l’affascinante storia di questo antico sito, ubicato in un punto strategico che permetteva la difesa dai nemici, con ambienti circolari organizzati attorno ad un cortile e un’imponente muro di cinta in pietra quale potente presidio.
Millenni di storia racchiusi in così poche righe non rendono giustizia alla bellezza di una tale gemma archeologica, che ho potuto apprezzare sotto un cielo incerto, accompagnata dalla costante presenza della brezza marina. Attraverso i miei occhi, ho reso solo un assaggio della sua essenza, un frammento che instilla in me la voglia di tornarci e riscoprirla ancora.
In copertina: Tharros © Norbert Nagel