MINI CASE - Il fascino di Diogene
Vivere in poco spazio è ormai una moda. Da diversi anni, infatti, è possibile osservare in tutto il mondo il fenomeno crescente delle mini case (in inglese, tiny house). Una tendenza sempre più diffusa per molte ragioni ma che, al contrario di quanto si possa pensare, non è nata di recente.
Il caso più estremo che ci offre la storia è quello di Diogene, il filosofo greco fondatore della scuola cinica e contemporaneo di Alessandro Magno (IV secolo a.C.) che, per educare il popolo all’essenzialità, scelse di vivere in una botte, rinunciando a qualsiasi bene materiale: uno status mentale decisamente lontano dallo spazio infinito celebrato, molti secoli dopo, da Giordano Bruno.
Lasciando l’antica Grecia e spiccando un salto in avanti di un paio di millenni, arriviamo all’Inghilterra vittoriana, periodo in cui molte famiglie inglesi, scozzesi e gallesi iniziarono a costruire, all’interno di grandi tenute, delle piccole dependance nelle vicinanze dell’edificio principale. Queste abitazioni dalle dimensioni ridotte servivano, generalmente, a ospitare la vedova del proprietario la quale, in tal modo, lasciava la propria residenza ai figli senza doversi allontanare troppo da casa e continuando a mantenere, allo stesso tempo, uno stile di vita indipendente.
Dopo essere rimaste per lungo tempo un fenomeno circoscritto, con l’avvento del nuovo millennio abbiamo potuto assistere a un vero e proprio boom mondiale delle tiny house.
In linea con la tradizione vittoriana, ancora oggi a ricorrere a questa soluzione, in territorio britannico, sono soprattutto persone anziane che desiderano abitare vicino ai figli, oppure giovani alla prima esperienza di vita indipendente. Per questo motivo, in Inghilterra, si stanno diffondendo sempre più i Granny Annexe, prefabbricati costruiti nel giardino di casa e adattabili a ogni esigenza. Un’alternativa interessante consiste nel trasformare queste minute abitazioni in bed & breakfast da affittare all’occorrenza o da utilizzare per i propri ospiti.
In altri Paesi, invece, questo modo di vivere contenuto viene scelto spesso da persone benestanti o facoltose. La decisione, quindi, quasi mai è correlata al budget disponibile ma puramente alla volontà di semplificare il proprio stile di vita.
Forse per tale motivo, alcune tiny house sono dei veri e propri gioielli architettonici. Grazie a design ingegnosi e all’avanguardia, si possono trovare deliziosi appartamentini concentrati in una decina di metri quadrati o poco più e dotati di tutti i comfort: cucina, salotto, camera da letto, bagno, ma anche elettrodomestici e accessori di ogni genere. Spazi moderni e funzionali, curati in ogni minimo dettaglio e costruiti nel massimo rispetto dell’ambiente, grazie all’impiego massiccio di materiali eco-sostenibili.
Nel 2013, perfino Renzo Piano si cimentò nella realizzazione di una mini casa di soli 6 mq - la più piccola al mondo - chiamata, non a caso, proprio Diogene.
In aggiunta alla ricerca di uno stile di vita semplice, una delle ragioni per cui si decide di ricorrere alle tiny house è la possibilità di liberarsi dall’impegno a lungo termine di un mutuo – visto che il loro prezzo è decisamente più abbordabile rispetto a quello di una casa di dimensioni standard – potendo così destinare quanto risparmiato verso altri interessi, quali ad esempio i viaggi.
Chi punta alla flessibilità negli spostamenti opta, in genere, per mini case su ruote, trasportabili, che permettono di muoversi senza dover rinunciare alle proprie abitudini: una soluzione sempre più diffusa tra i giovani in cerca di avventura, soprattutto negli Stati Uniti, dove le tiny house sono diventate talmente popolari da dar vita anche a una serie di programmi televisivi.
Vivere in una mini casa sembra presentare, quindi, molteplici vantaggi: risparmio economico, flessibilità e rispetto per l’ambiente; il tutto, abbracciando uno stile di vita all’insegna dell’essenziale e della sostenibilità. Ma è davvero così?
In luoghi come il Giappone o la Scandinavia, il motivo trainante che conduce a una tale scelta è proprio l’ecosostenibilità: grazie all’utilizzo di fonti rinnovabili e materiali di costruzione riciclati o riciclabili, è infatti possibile aspirare all’autonomia energetica.
Per Raul Forsoni, architetto e ricercatore presso UNStudio ad Amsterdam ed ex collaboratore di Zaha Hadid a Londra, deve essere fatta un’ulteriore considerazione:
“Personalmente – rivela – oltre all’aspetto sostenibile, trovo molto importante l’idea di comunità che, almeno qui in Olanda, si è sviluppata intorno alle tiny house, o meglio, ai tiny villages. Nei Paesi bassi vivono oltre 17 milioni di persone, raggruppate in poco più di 41mila km². Essendo uno dei paesi più densamente popolati d'Europa, va da sé che le tiny house stiano diventando un modo di vivere sempre più popolare. In genere, i residenti di queste abitazioni che vanno dai 15 ai 50 metri quadrati, vogliono vivere insieme in un gruppo di cinque o venti mini case. Non come comune dalle regole ferree ma, piuttosto, come comunità cooperativa dove, oltre alla privacy, c'è spazio anche per una economia condivisa: ad esempio, condividendo l’auto e/o l'orto”.
“Inoltre – aggiunge – le dimensioni di queste case potrebbero non essere grandi ma, in realtà, non sono minuscole per gli standard delle più grandi città europee e, questo, può essere un ulteriore insegnamento per riproporre gli stessi principi alla scala dell’edificio urbano. In piccolo, quindi, si stabiliscono meccanismi che creano una cultura dell'abitare sostenibile che dovrà sicuramente riprodursi nelle città, se vogliamo che le nostre società diventino più sostenibili e, in generale, più mature: il rinnovato senso di comunità tramite coabitazione e condivisione, l’uso di materiali sostenibili, l’indipendenza energetica, sono tutti principi che possono rivoluzionare il panorama abitativo”.
“Tuttavia - conclude - sarebbe sbagliato romanticizzare queste comunità. In genere questi alloggi sono per persone che non hanno alternative e che finiscono per vivere in luoghi in cui nessuna comunità ha avuto possibilità di mettere radici salde, in siti che potrebbero non essere ben collegati con il resto della città. Pur essendo apprezzabile il principio di offrire alloggio temporaneo di alta qualità a persone che ne hanno bisogno, ciò non dovrebbe trasformarsi in una soluzione permanente di bassa qualità”.
Molti esperti, hanno anche messo in luce alcune verità scomode su uno stile di vita di questo tipo. Ad esempio più volte abbiamo letto, durante questi mesi di quarantena, dei rischi per la salute fisica e psicologica associati al vivere in spazi ridotti.
Per Ottaviano Maria Razetto, Architetto e CEO di Landhouse Real Estate a Praga, la questione è anche un’altra:
“Quando ero bambino – racconta – con la mia famiglia viaggiavamo in tutta Europa in camper. All’inizio lo facevamo con un piccolo furgoncino Fiat 238, adattato per poterci accogliere dignitosamente e poi, negli anni, arrivò il Mercedes, punto di arrivo per qualsiasi camperista. Ecco, io ho scoperto il mondo, e ho ampliato i miei orizzonti, attraverso quella piccola scatola di metallo dove, in pochi metri quadrati, c’era tutto quello che mi serviva. La mia casa, però, era un’altra. Anche questa – disposta su tre piani, con i saloni, il parco – mi sembrava contenesse tutto quello di cui necessitavo. La differenza, lo capii da adulto, era tutta nei ricordi. Ricordi non immateriali ma fatti di oggetti: il quadro del nonno, la scultura di mia madre, la collezione di mio padre a cui, nel tempo, si erano aggiunti i libri, gli oggetti di mio fratello e poi i miei. Insomma, tutti quei ricordi che costituiscono la storia familiare e che necessitano, per essere conservati, di spazio. Tanto spazio. E se la vita di un uomo è anche il risultato del suo passato, del passato della sua famiglia, come direbbe Jean D’Ormesson, allora non possiamo concepire una casa priva di tutti questi oggetti, capaci di costituire un filo che lo lega al suo passato. E, a pensarci bene, ecco cosa mi affascinava di quel furgoncino arancione che annunciava le vacanze imminenti: era l’esperienza del presente, dell’attimo come, appunto, quella del viaggio. Ma è concepibile la vita di uomo senza la storia, sua e della sua famiglia? È possibile vivere in una casa che ci priva di tutti quegli oggetti che ci legano al nostro passato? Io credo di no. Sarebbe un enorme impoverimento, non tanto materiale, ma spirituale. Purtroppo, c’è da anni una tendenza alla riduzione delle superfici delle nostre abitazioni. In queste case non c’è posto per la libreria di famiglia; i dischi di quando eravamo ragazzi, o quelli dei nostri genitori, vengono buttati via così come i soprammobili, i ricordi di una o più vite, perché anche per quelli non c’è più spazio”.
“Detto questo – prosegue – è molto interessante vedere come si è sviluppato il concetto di tiny house in Repubblica Ceca”.
“Qui – spiega – durante il comunismo era permessa sostanzialmente una sola forma di proprietà privata e questa era la casa di campagna, la chalupa, come viene chiamata in ceco. Si potrebbe definire una specie di tiny house socialista: un piccolo edificio di campagna, spesso dotato di servizi essenziali, in cui la famiglia di città (abituata all’esiguità degli appartamenti nei prefabbricati di stampo sovietico) si recava nei fine settimana e durante il periodo estivo, anche perché spesso impossibilitata a fare un altro tipo di vacanza. La cosa interessante è che questa forma di residenza, diffusa spesso in un ambiente naturale bucolico che rende la Boemia e la Moravia un vero paradiso, ha resistito al crollo del regime e ha trovato un insospettabile sviluppo negli ultimi anni. Credo che questo dipenda anche dal profondo attaccamento che il popolo ceco ha con la natura e con la vita all’aperto e, in questo contesto, la chalupa è davvero ideale”.
Prima di cedere al fascino di Diogene, sarà allora necessario valutare cosa significa davvero vivere a lungo termine in pochi metri quadrati. Una buona idea potrebbe essere quella di optare, inizialmente, per una tiny house come seconda casa, per poter comprendere a livello pratico quali siano le proprie esigenze e priorità.