DIEGO RIACE – Da Barbarians a Black Secret
Diego Bottiglieri, in arte Diego Riace, interpreta il ruolo di Quintus in Barbarians, serie di grande successo offerta attualmente da Netflix e diretta da Steve Saint Leger. La storia ruota attorno alla Battaglia della foresta di Teutoburgo, avvenuta nell’anno 9 d.C., in cui le legioni del governatore romano Publio Quintilio Varo furono annientate da una coalizione di tribù germaniche.
Un anno davvero positivo per Riace, attore versatile e di grande talento, che presto vedremo anche in due nuove, interessanti, produzioni cinematografiche. È lui stesso a parlarcene.
Diego, quando hai deciso di diventare un attore?
Il cinema, per me, è sempre stato qualcosa di magnetico. Fin da bambino, la mia passione era talmente evidente che persino la mia insegnante delle elementari, vedendomi recitare nelle rappresentazioni scolastiche, aveva predetto che sarei diventato un attore. Ero attratto da film anche di generi molto diversi tra loro e normalmente seguiti da un pubblico più adulto. Come racconto spesso, i tre film che mi hanno spinto a intraprendere questo mestiere sono Conan con Arnold Schwarzenegger, La Febbre dell’Oro con Charlie Chaplin e Per un pugno di dollari con Clint Eastwood. All’età di 8-9 anni, avendo pochi VHS in casa, li vedevo e rivedevo in continuazione e sognavo, ogni volta, di essere il protagonista. Riuscivo a vivere quelle storie quasi in prima persona. E poi, naturalmente, sono stato ispirato da una miriade di altre pellicole.
Oltre che formarti in Italia e a New York, hai seguito un corso alla Scuola Internazionale di Cinema a Cuba. Da cosa è stata dettata questa scelta?
A New York, nel 2011, ho frequentato classi serali di recitazione in un contesto internazionale per me davvero nuovo e interessante: si è trattato di uno stage che mi sono voluto regalare dopo aver girato una fiction e aver ottenuto i miei primi guadagni come attore. La scuola di Cuba, invece, fu una scelta fatta grazie a un articolo che mi fece leggere mio padre (è docente di letteratura ispano-americana e conosce Cuba molto bene): scoprii che qui avevano tenuto corsi personaggi del calibro di Francis Ford Coppola, Ettore Scola e, se non erro, anche Spielberg e che, per la qualità dei suoi corsi, è considerata una delle migliori scuole di cinema al mondo. A Cuba ho frequentato un corso di un mese full-immersion, vivendo 24 ore al giorno all’interno del campus e, grazie alla presenza di ragazzi provenienti da tutta l’America Latina, ho avuto modo di apprendere nuovi linguaggi e una forma di recitazione leggermente diversa rispetto a quella europea o americana: una bellissima esperienza, proprio perché vissuta interamente sul posto. Tuttavia, la mia vera formazione è avvenuta presso la Scuola Duse, diretta da Francesca De Savio: è lei il mio mentore anche se poi, ovviamente, l’esperienza sul set è stata fondamentale per completare il mio percorso di apprendimento.
Hai avuto modo di lavorare con registi di grande spessore come Pupi Avati, Gabriele Muccino, Dario Argento e molti altri. Cosa ti viene in mente, pensando a questi nomi?
Ripenso al momento in cui abbiamo girato la prima scena de La Terza Madre, con Dario Argento. Era novembre, indossavo un gilet senza nulla sotto e sentivo freddissimo: di fronte a me una scala gigantesca, all’interno di una villa. Si trattava di una scena un po’ complessa, in movimento, con una steadicam che mi doveva seguire per tutto il tempo. Prima di girare, Dario Argento iniziò a dare una serie di istruzioni a tutti, me compreso. Appena terminato mi chiese se avevo capito e io risposi di sì ma in realtà, un po’ per l’emozione e un po’ per il freddo, non avevo capito nulla. Girammo la scena e, probabilmente aiutato dal mio istinto, venne subito bene. In quel caso ebbi fortuna ma non è un metodo di lavoro che consiglierei. Oggi avrei chiesto di ripetere le istruzioni ma, all’epoca, non ne ebbi il coraggio. Paradossalmente, è uno dei momenti della mia carriera a cui ripenso spesso.
Da allora hai lavorato intensamente, fino ad approdare nella serie Netflix Barbarians, che ti ha lanciato nel panorama internazionale. Puoi parlarci della tua esperienza nel ruolo di Quintus?
Sì, decisamente Barbarians rappresenta una bella opportunità professionale: riuscire a partecipare, dall’Italia, a una produzione tedesca con un cast e un progetto internazionale, per me è una vera e propria vittoria. Quintus è un personaggio che aspettavo da un po’ e per il quale mi preparavo da tempo: direi che, in qualche modo, ci siamo cercati… e trovati. In questi anni ho studiato molto la “fisicità” dei personaggi e Quintus è un uomo dall’aspetto invincibile, che può sembrare cattivo ma non lo è: al contrario, è un uomo giusto e d’onore, un uomo di mente ma anche di spada; non un semplice soldato e combattente ma un Prefetto, uno stratega, che riflette molto sul mondo che lo circonda. Riuscire a ottenere questo ruolo, distinguendomi tra centinaia di provini, è stata davvero una grande soddisfazione.
La preparazione è stata meticolosa. Ho iniziato documentandomi per bene sulla Battaglia di Teutoburgo, cercando di reperire tutto il materiale disponibile, tra libri e video. A grandi linee, già conoscevo la storia: sapevo che Roma era stata sconfitta ma non avevo un’idea precisa di come si fossero svolti gli avvenimenti, sia durante la battaglia che in seguito quando, a mio avviso, la vicenda si fa davvero interessante. Inoltre, ho approfondito la mia ricerca focalizzandomi sulle tantissime statue di atleti e soldati di epoca imperiale presenti un po’ ovunque a Roma, come ad esempio quelle presso il Foro Italico. Mi sono soffermato a lungo sugli atteggiamenti imponenti, sugli sguardi carichi di orgoglio e, in generale, sulla loro idea di gloria: tutti elementi che ho poi cercato di trasferire nella mia interpretazione di Quintus.
Durante le riprese, a Budapest, ho avuto modo di lavorare con un team incredibile e di fare amicizia con altri due bravissimi colleghi italiani, Valerio Moriggi e Gaetano Aronica, con i quali si è instaurato un ottimo rapporto: con loro mi incontravo spesso la sera a cena per parlare del progetto, scambiare idee, opinioni, e credo che questo abbia influito positivamente anche sulle rispettive interpretazioni.
È la prima volta che lavori su un set internazionale. Hai incontrato difficoltà?
Sì, era la prima volta che mi trovavo a lavorare in un progetto così internazionale, con persone che arrivavano da tutte le parti del mondo. Ho apprezzato immediatamente il clima di cortesia e gentilezza che si respirava, e al quale è stato facilissimo adattarsi, ma anche la serietà, la grande professionalità, l’attenzione al dettaglio e il livello di produttività. Tuttavia, l’aspetto più bello credo sia stato quello di sentirmi valorizzato. Pur non essendo uno dei protagonisti, ho sempre avuto l’impressione che tutti i miei sforzi fossero davvero apprezzati e posso dire che, finora, questa è stata la mia esperienza professionale più bella e gratificante in assoluto.
Una delle difficoltà maggiori, sicuramente, è stata quella di dover recitare in latino, interpretando le battute in maniera convincente e con la giusta intensità. In questo, l’aiuto di un insegnante si è rivelato fondamentale.
Il momento più difficile sul set, invece, credo di averlo vissuto in una delle scene finali quando, mentre montavo un cavallo al galoppo, ho quasi calpestato una comparsa che si fingeva morta a terra. Essendo completamente bagnato e sorreggendo l’elmo con una mano, non ero in grado di governare bene il cavallo il quale, con mio grande sollievo, all’ultimo momento è riuscito a schivare l’ostacolo; a causa di quel movimento brusco, anch’io ho rischiato di fare una brutta caduta ma per fortuna, alla fine, è andato tutto bene.
Sta per uscire anche il film La Belva, per la regia di Ludovico Di Martino. Di cosa parla e quale ruolo interpreti?
Il film, inizialmente programmato per uscire nelle sale il 27 ottobre scorso, purtroppo è stato bloccato a causa della pandemia ma presto uscirà su Netflix. Spero che abbia grande successo perché lo merita davvero. È il secondo lavoro di Di Martino che, in questo caso, ha voluto realizzare un film d’azione. Il protagonista, Fabrizio Giffoni, è un attore straordinario che ci ha abituato finora ad altri ruoli, in film impegnati e a teatro: è la prima volta che interpreta un personaggio di questo tipo e direi che l’esperimento non poteva riuscire meglio. L’Italia non ha una grande tradizione di action. Abbiamo avuto, soprattutto negli anni Sessanta-Settanta, polizieschi di grande qualità che hanno ispirato anche produzioni straniere ma al contrario di altri paesi, dove si è compresa la potenzialità dei film d’azione, qui in Italia non si investe molto su questo genere. Per cui, è ancor più da ammirare questa produzione.
Il mio personaggio, in questo caso, è più vicino ai ruoli che ricopro normalmente: torno, infatti, a interpretare i panni del cattivo. Non voglio anticiparvi la storia ma vi invito a vederla, perché ne vale davvero la pena. E spero che il filone action in Italia riprenda slancio, perché è un settore che può offrire ampi margini di sviluppo.
Permettici di conoscerti un po’ meglio a livello personale. Come ti descriveresti?
Sono un testardo, ma nel senso positivo del termine: se mi prefiggo un obiettivo, è difficile che mi arrenda prima di raggiungerlo. Nel mio passato ho sempre amato la cultura fisica (il mio pseudonimo, Riace, vuole essere proprio un omaggio alla bellezza dell’antichità, che ancora oggi possiamo ammirare nelle linee scolpite degli omonimi bronzi) e, infatti, ho praticato per molti anni culturismo, anche a livello agonistico. In quel campo occorre molta disciplina, sia nella preparazione fisica che nel mantenimento di un regime alimentare ferreo e, il fatto che sia riuscito a ottenere successi importanti a livello nazionale, è un segno della mia determinazione.
Amo mettermi continuamente alla prova e fare nuove esperienze, tentando di superare ogni volta le mie paure. Ho dovuto imparare a gestire la mia spiccata sensibilità, a volte anche eccessiva, e non amo giudicare: preferisco ascoltare. Cerco anche di essere una persona umile e leale.
Mi ritengo, fondamentalmente, un buono: è forse per questo che amo interpretare i ruoli del cattivo, così distanti e differenti da me.
Quali sono i tuoi interessi? Cosa ti piace fare durante il tempo libero?
Il mio tempo libero è dedicato soprattutto allo sport, che cerco di praticare almeno 4-5 volte a settimana. Sono anche un “motivatore”: proprio per il mio lato testardo, che ho descritto sopra, sono riuscito nel tempo non solo a raggiungere gli obiettivi che mi prefiggevo ma ad aiutare anche altre persone nel vincere le loro sfide. Ho avuto modo di lavorare, in diverse occasioni, con attori o sportivi, e ho sempre ottenuto grandi soddisfazioni. Credo che il segreto consista nel riuscire a superare i propri limiti, anche quelli fisici, prima di tutto a livello mentale.
A cosa stai lavorando in questo momento?
Sono impegnato nella chiusura di un film indipendente, per la regia di David Petrucci. Mancano le musiche ma ormai siamo alle battute finali. Si tratta di un lavoro davvero originale: un horror muto dal titolo Black Secret. Spero che presto possiate sentir parlare di questo film. Anche qui interpreto un personaggio cattivissimo, pieno di contraddizioni, la cui storia si intreccia con quella di altri protagonisti, ognuno dei quali alle prese con un proprio segreto oscuro.
Probabilmente, a livello intrinseco, questo è il personaggio più complesso e intenso che abbia mai dovuto interpretare e, forse proprio per questo, il mio lavoro migliore.
In copertina: Quintus
(dal set di Barbarians © Netflix)