VOCI MOSSE - Per tornare, non bisogna muoversi

VOCI MOSSE - Per tornare, non bisogna muoversi

Non piango perché quel mondo non torna più, ma piango perché il suo tornare è finito scrive Pasolini, anche se io devo l’incontro con questo verso a un libro di cui parlo poco più sotto; mi sembra, comunque, l’esergo più calzante per salutare l’anno appena concluso.

Le mie tradizionali liste di fine dicembre si sono rivelate un elenco ordinato di cose che tornano, cose che lascio andare, ma anche di nuove che accolgo. Stilandole con meticolosità, ho realizzato che l’ultimo anno ha chiuso un ciclo iniziato – nonostante non fossi in grado di vederlo, allora – nel 2019.

Io che vivo con la fissa di delineare tutte le mie epoche, passate e presenti, capisco che sta per tramontare una personale e minuscola era che non sarà più: il suo tornare è finito.

Queste sono le mie ultime letture del 2024: mi guardo indietro un’ultima volta, per congedarmi. 

Tangerinn, Emanuela Anechoum

Nonostante sia stato il primo romanzo inserito sulla lista (ne faccio molte) “Leggili! 2024”, è stato la mia ultima lettura dell’anno.

L’esordio letterario di Emanuela Anechoum racconta il ritorno di Mina al paese d’origine, nel profondo sud d’Italia, quando il padre muore. La protagonista lascia la sua vita, in gran parte immaginata (o solo raccontata), a Londra e rientra a casa, finendo col passarci molto più tempo del previsto. Con un filo narrativo parallelo alla quotidianità di Mina, gran parte del romanzo ripercorre la vita del padre Omar, emigrato dal Marocco verso l’Italia. Mina, che non si conosce affatto, cerca tra le storie fumose del padre una verità, una determinazione che lei non ha coltivato; ma quei racconti sono solo ricordi sbiaditi di Mina o c’è del vero?

I temi dell’andare, del tornare, della periferia del profondo sud che può essere raccontata solo da chi respira (o ha respirato abbastanza) la salsedine densa, li cerco spesso nelle letture perché la mia vita è un continuo migrare, ma parlo di Tangerinn perché è anche – soprattutto – una storia sul perché si parte: perché si sceglie l’ignoto, perché è difficile definirsi lontano da un luogo che per molto tempo ci ha definiti; perché tornare è una mutilazione; perché si cercano delle risposte in diversi altrove. Diventare chi si è, è l’unica ambizione, dice un personaggio di Anechoum, ed è forse il messaggio più potente di questo romanzo frizzante e doloroso, caldo e aspro come le spiagge del sud Italia: conoscersi e comprendersi a costo di perdere dei pezzi di sé, sostituirne alcuni con dei racconti e dimenticarne altri. Conoscersi e comprendersi ad ogni costo, anche quello di andare via, anche quello di tornare.

Intermezzo, Sally Rooney

Quarto romanzo della Rooney – ne ero molto curiosa: trovo nella sua scrittura ci sia qualcosa di magnetico, accogliente, universale. 

Peter e Ivan sono due fratelli molto distanti: per età, idee e consapevolezza di sé. Alla morte del padre i loro percorsi, che sembrano inconciliabili, tornano a incrociarsi e i due protagonisti imparano, non senza fatica, a dialogare col proprio dolore e con quello dell’altro.

Non è il tema della morte o del dolore in sé che mi porta a scriverne, ma l’essere irrisolti nel proprio dolore. Peter e Ivan sono due anime rotte, spezzate, che faticano davvero molto ad ascoltare gli altri e sé stessi: spesso si vanno contro ingiustamente, quasi volessero punirsi per il loro sentirsi inadatti. Ma comunque: di che parla davvero questo libro? Di cosa ha parlato a me? Dell’amore, del bene: l’amore che cambia e si adatta alle nuove situazioni, che non si esaurisce ma si sradica, ci sradica verso nuovi, altri orizzonti; il bene che resta, nelle forme più disparate d’amore, ma che non è detto riesca a proteggerci dal dolore per quel tornare finito delle epoche private, vissute da persone che incontrano altre persone. Il dolore generato dai momenti che passano, dai continui cambiamenti che sconvolgono equilibri intimi ci rende spaesati in quell’intermezzo necessario all’assestamento tra una stagione e l’altra della vita.

Con la stessa voce, Carlo Bortolozzo

Una cosa tornata nella mia vita, anche se non come era venuta – mai più potrebbe allo stesso modo – è la letteratura: pensavo che quello ribattezzato come amorevole inutile (ma a cosa mi è servito studiare Lettere, ancora mi chiedo), non sarebbe più tornato da me, non con la voglia di sviscerare i testi già sviscerati, scoprire nuovi punti di vista, leggere chi solitamente mette a disposizione la sua scrittura per i testi degli altri. E invece, capisco che l’epoca di cui parlavo all’inizio è conclusa proprio da questo ritorno, dalla necessità di riscoprire, ridare spazio alle parole degli altri, studiarle ancora, entrarci dentro di nuovo.

La nocca che ha (ri)bussato alla porta è il saggio di Carlo Bortolozzo, Con la stessa voce,  che in tre sezioni – la poesia, il romanzo e la critica letteraria – offre percorsi di lettura e di analisi alla scoperta nuova di autori scelti da un animo intelligente, curioso e dinamico, ancora alla ricerca della bellezza delle parole, fiducioso della fraternità della lettura. Da Leopardi a Pasolini, da Manzoni a Conrad passando da Pavese fino a Bloom, Steiner, Guardini; tutte voci mosse, in questi percorsi di lettura, come matita su foglio bianco che svela il miracolo di quell’amorevole inutile: «esplode come qualcosa di assoluto e ti cambia per sempre la vita» (Antonia Arslan, Tempi di storie, tempi di poesia in Carlo Bortolozzo, Con la stessa voce. Percorsi di lettura e interpretazione della letteratura, Milano 2024, Edizioni Ares, p. 7).

Il verso che apre questo articolo arriva proprio dal saggio di Bortolozzo (tratto da Canto delle campane nella versione in italiano del 1975, di Pier Paolo Pasolini, è riportato su Con la stessa voce, cit., p. 38); mi è esploso davanti, facendomi realizzare che alcune cose tornano, non come le ho conosciute, e che ogni ritorno in forma inedita scandisce l’inizio di un nuovo percorso: sono pronta.

TOOTSIE, IL MUSICAL - Il debutto europeo con Paolo Conticini e Enzo Iacchetti

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