SIRACUSA - Ortigia e la magia del Teatro Greco
All’estremità di quest’isola c’è una fonte d’acqua dolce, chiamata Aretusa, di grandezza incredibile, ricchissima di pesci… Così recitava Cicerone per descrivere la Fonte Aretusa, simbolo di Siracusa e posta all’interno di uno tra più storici quartieri della città: l’isola di Ortigia.
E non fu l’unico: Ovidio, D’Annunzio, Virgilio… Tantissimi sono i poeti, gli scrittori, gli storici e gli artisti che hanno tessuto le lodi di questa insenatura d’acqua dolce, dove crescono rigogliose piante di papiri, separata dal mare solo da un muro di pietra e le cui origini si sfumano nelle nebbie della mitologia greca.
Si narra infatti che Alfeo, dio fluviale, innamoratosi di Aretusa, ninfa di Artemide, cercò di sedurla, ma lei, per difendersi dai suoi tentativi, invocò l’intervento della stessa dea, la quale la tramutò in fonte. Inabissatasi sotto lo Ionio, Aretusa venne a sfociare in Ortigia ma Alfeo, non disposto a rassegnarsi, affidò alle onde il suo sogno d’amore e percorse il sottosuolo per riemergere accanto all’amata, nel porto grande.
Ma Siracusa non è solo la città millenaria nata dai Greci di Corinto, approdati sulle coste per fondarne le colonie; famosa per i suoi edifici barocchi, edificati dopo il terremoto del 1693, è caratterizzata da un dedalo di viuzze, da impareggiabili scorci di mare e da piazze assolate dove spiccano immensi palazzi, quali il Duomo, il Palazzo Vermexio, il Palazzo Beneventano o la bellissima Fontana Diana.
Numerose sono state le influenze artistiche che tutt’oggi convivono nella sua architettura. Ionico, gotico, barocco: stili che, senza primeggiare l’uno sull’altro, lasciano ampio spazio a chi vuole assaporarli singolarmente. La città, infatti, con i suoi molteplici e variegati aspetti, può essere paragonata ad una scenografia a “cielo aperto”: famosa è la scena del Film Malena di Giuseppe Tornatore, ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale nella storica piazza del Duomo, in cui Monica Bellucci, nel tentativo di salvarsi dalla fame e dovendo ”concedere se stessa” agli abitanti più in vista della zona, sfila a testa alta tra gli sguardi lussuriosi sia dei locali che dei soldati delle truppe naziste, a testimonianza di una amara e necessaria metamorfosi.
Ed è proprio in questa sua ambientazione unica che trova posto quella che si può definire la location per eccellenza per le rappresentazioni moderne e antiche: il Teatro Greco di Siracusa.
Situato all’interno di una delle aree archeologiche principali della Sicilia orientale – il Parco Archeologico di Neapolis – il teatro è circondato da numerosissimi reperti risalenti al periodo greco e romano fino all’era bizantina.
Ogni anno, tra maggio e luglio, in questo luogo magico vengono messe in scena le rappresentazioni teatrali della Fondazione INDA – Istituto Nazionale Dramma Antico.
Nata intorno al 1913, su iniziativa di un nobile siracusano che aveva avuto l'ambizione di ridare vita al dramma antico presso il suo "spazio naturale", ovvero nel Teatro Greco di Siracusa, la Fondazione inaugurò il primo ciclo di spettacoli classici con L’Agamennone di Eschilo; anno dopo anno, numerosissime rappresentazioni sono state messe in scena e l’evento ha assunto, nel tempo, una enorme portata: nomi e volti noti hanno interpretato e dato vita, attraverso le loro recitazioni e le loro voci corali, alle immense opere dei grandi tragediografi e commediografi del passato.
Eschilo, Sofocle, Euripide ma anche Aristofane, Seneca e tanti ancora, nei loro capolavori – Le Coefore, La Medea, L‘Edipo Re, L’Antigone, La Fedra, Le Eumenidi, L’Aiace, Lisistrata, per citarne alcune – hanno trovato la loro rappresentazione nei volti conosciuti di Vittorio Gassman, Giorgio Albertazzi, Ugo Pagliai e Piera Degli Esposti, mentre le loro parole sono nate dall’immenso lavoro svolto da studiosi e artisti quali Pier Paolo Pasolini, Salvatore Quasimodo, Giovanni Cerri.
Ma il solo narrare di questi spettacoli non ne rende giustizia: nessuna parola o narrazione, per quanto scelta ed appropriata, riuscirà a descrive la deferenza e il rispetto che tali opere ispirano e quanto, gli argomenti in esse trattati, possano essere inverosimilmente attuali. Personalmente, avendo assistito alle rappresentazioni per diversi anni, sono rimasta molto colpita da La Medea di Euripide e L’ Orestiade (la trilogia di Eschilo): a mio avviso, in assoluto le più coinvolgenti.
Quando si dice “l’inferno non conosce furia simile a una donna respinta” e – aggiungerei – tradita, credo che non esista frase più vera e appropriata per descrivere la protagonista della tragedia euripidea: abbandonata dal marito Giasone per una donna più giovane e di rango più elevato (Glauce, figlia di Creonte, re di Corinto), Medea, disperata per il tradimento, medita e porta a compimento una tremenda vendetta, uccidendo la giovane promessa sposa e il padre di lei dopo averle inviato, come dono di nozze, una veste intrisa di veleno. Non solo: per assicurarsi che la sofferenza di Giasone non avesse limiti, riesce a vincere la sua natura di madre, uccidendo i figli avuti dallo stesso e fuggendo poi su un carro del Sole trainato da draghi alati.
Non manca nulla, in questa tragedia: tradimento, mortificazione, abbandono, morte, infanticidio, ma soprattutto il pathos, inteso nel senso più profondo del suo significato: ogni parola concorre a rendere omaggio alla disperazione di donna abbandonata e tradita, alla follia omicida, ai monologhi passionali, agli sfoghi furiosi sollevati con l’intero coro che l’accompagna, ai dialoghi disperati e furenti con Giasone nonché alle maledizioni lanciate contro la casa reale.
L’umana condizione in tutte le sue sfaccettature. Le umane debolezze raccontate attraverso storie leggendarie e mitologiche, emozioni concrete che se nella Medea hanno il solo volto della protagonista, nell’Orestiade - la trilogia eschilea composta dall’Agamennone, le Coefore e le Eumenidi (o le Erinni), nonché l’unica trilogia completa che ci resta di tutto il teatro classico – sono presenti nei tanti personaggi che, con le loro imprese e atti criminosi, incarnano questi sentimenti.
Una storia infinita di esecuzioni e morti, di dannazione e persecuzione; un eterno conflitto tra l’esigenza di rivendicare vendette personali e la giustizia intesa come Fato o Necessità. Un senso di colpa con profonde radici e la sua ereditarietà. Una spaccatura sempre più netta tra ciò che l’Ordine universale richiede e ciò che il Destino riserva ad ogni personaggio. Un apparente sopravvento dell’universo maschile su quello femminile. Sono davvero tanti i temi trattati nell’Orestiade.
Nel primo atto, un Agamennone re di Argo, angosciato e depresso, viene ucciso dalla moglie Clitennestra per vendicare la morte della loro figlia, Ifigenia, uccisa a sua volta dal padre come sacrificio agli dei; un delitto che, dietro l’apparente richiesta di giustizia, nasconde in realtà il più classico dei presupposti: il tradimento della reale consorte con il suo amante Egisto; nelle Coefore, Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra, uccide la madre e il suo concubino, apparentemente per rivendicare il padre ma, in realtà, perché sottoposto e obbligato a tale atto dall’Anankè - la divinità del Fato; solo nella terza opera, le Eumenidi, c’è l’epilogo di questo scempio infinito, quando le Erinni, le furie vendicatrici, arrivano a tormentare Oreste; infine lo stesso protagonista, assolto dall’accusa di matricidio di fronte al tribunale grazie alla parità di voti raggiunta con il parere favorevole di Atena, trova conforto in una riappacificazione finale con se stesso.
Ma un altro elemento concorre alla magia di queste rappresentazioni. Un qualcosa che trascende l’uomo e la sua opera ma che ne è comunque parte fondamentale e costitutiva: l’ambientazione in cui tutto prende vita.
Il teatro, con la sua struttura a semicerchio realizzata attraverso scavi praticati interamente nella roccia, vanta quasi 15mila posti, che si affacciano verso la zona centrale all’interno della quale si muovono e danzano attori e coro.
Tuttavia, oltre alla naturale scenografia, quello che colpisce maggiormente il pubblico e ciò che rende variegata la rappresentazione, arricchendola di un fascino unico, è la luce naturale che muta con il trascorrere del tempo, donando così all’opera stessa atmosfera magica e una bellezza quasi onirica.
Grazie ad una persona speciale dieci anni fa conobbi Siracusa, con le sue bellezze e il suo mare, ma soprattutto questo luogo incantato che è il suo Teatro Greco, dove le grandi opere prendono vita, i miti greci ci parlano e ci raccontano i loro drammi e i loro amori; un luogo dove impariamo a conoscere storie antiche ma con tematiche sempre attuali. E magari, se saremo fortunati, dove potremmo essere ricoperti da quella polvere di fata che ci farà spiccare il volo verso l’isola che non c’è.
In copertina: Veduta aerea di Siracusa e dell’isola di Ortigia