UMBERTO GUIDONI - Una guida per preparare i giovani astronauti alla nuova "era spaziale"
Primo europeo, nel 2001, a varcare la soglia della Stazione Spaziale Internazionale, Umberto Guidoni è il terzo astronauta italiano della storia, con all’attivo due missioni spaziali e prestigiose collaborazioni con i più importanti centri a livello mondiale. Oggi, ha deciso di condividere questo suo immenso bagaglio di conoscenza occupandosi di divulgazione scientifica, sia attraverso la pubblicazione di innumerevoli articoli e libri, sia tramite la partecipazione a programmi radiofonici e televisivi. Ripercorriamo, insieme a lui, alcune tappe salienti della sua incredibile vita.
Inizio con una domanda che, da ciociara, non posso non rivolgerle. È nato a Roma ma è originario di Acuto. Qual è il suo legame con la Ciociaria?
Da ragazzo, ho passato molte estati ad Acuto e ho sempre mantenuto un rapporto speciale con la Ciociaria. Dopo la scomparsa dei miei genitori, che si erano ritirati ad Acuto in pensione, sono sempre più rare le occasioni per tornarci e ritrovare quegli aspetti culturali e gastronomici che ho imparato ad apprezzare.
La sua è una carriera che possiamo definire “stellare” (mi perdoni la battuta). Com’è diventato astronauta?
Era un sogno che aveva fin da ragazzo ma che avevo messo in un cassetto perché, allora, il mestiere di astronauta era possibile solo in America o in Russia. Ci sono voluti vent’anni prima che si creassero le condizioni per bandire il primo concorso per astronauti italiani. Nel frattempo, mi ero laureato in astrofisica e lavoravo da diversi anni in un laboratorio di ricerca spaziale. Ovviamente, partecipai a quel concorso anche se non mi facevo troppe illusioni. Alla fine del processo di selezione fui scelto come uno dei due candidati da mandare a Houston per l’addestramento, presso il centro della NASA. Era solo l’inizio di un lungo periodo di preparazione che comincia con un corso di base, di un paio di anni, per raggiungere la qualifica di astronauta. Una volta ottenuto il “diploma di astronauta”, c’è ancora molto da imparare prima di andare in orbita e si continua il training per abituarsi alle diverse situazioni che si presentano nello spazio: voli acrobatici, lanci con il paracadute, immersioni subacquee e sopravvivenza in ambienti ostili. Finalmente, arriva il momento in cui si viene chiamati a far parte di un equipaggio di una specifica missione e questo vuol dire che manca circa un anno al volo.
Oltre alle qualità fisiche ed alla preparazione accademica, quali sono gli aspetti caratteriali necessari per poter intraprendere questo percorso?
Per partecipare alle selezioni degli astronauti, bisogna aver raggiunto traguardi professionali ambiziosi come scienziati o come piloti. Oltre ad avere anni di esperienza nel mondo della ricerca o migliaia di ore di volo con velivoli di tutti i tipi, gli aspiranti astronauti devono possedere molte altre qualità: un fisico in perfette condizioni di salute, la capacità di lavorare in gruppo e quella di saper portare a termine un compito anche in condizioni di stress. In aggiunta, devono avere grande pazienza e determinazione per raggiungere un obiettivo che, come abbiamo visto, può richiedere molti anni di lavoro e di sacrificio. Possiamo ben dire che “gli esami non finiscono mai” per gli astronauti.
Sono trascorsi 25 anni da quel suo primo volo nello spazio, a bordo della navetta Columbia. Qual è l’immagine più vivida che le è rimasta di quel momento?
Le emozioni del primo viaggio sono tante ed è impossibile dimenticarle! Quella che mi è rimasta nella mente e nel cuore, però, è l’immagine del nostro pianeta. Quando guardi fuori degli oblò puoi osservare la Terra che scorre sotto di te, vedi i colori che cambiano continuamente mentre le giri intorno in circa 90 minuti, il tempo di una partita di calcio. Durante un’orbita, la Terra appare come un vero “caleidoscopio” di colori da cui è difficile allontanare lo sguardo: il blu cobalto degli oceani si alterna al bianco delle montagne coperte di neve e i deserti color ocra lasciano il posto al verde intenso delle foreste.
La sua seconda missione in orbita, invece, è stata a bordo della navetta Endeavour. Può fare un confronto tra le due esperienze?
Nella prima missione, il Columbia aveva a bordo un esperimento che avrebbe potuto rivoluzionare il modo di fornire energia ai veicoli spaziali. L’idea era quella di sfruttare la grande velocità della navetta e il campo magnetico terrestre per creare una sorta di “dinamo spaziale”, capace di generare elettricità nello spazio. La vera sfida era nelle dimensioni: per produrre qualche chilowatt c’era bisogno di un satellite collegato con un filo lungo 20 km e per questo era stato ribattezzato il “satellite al guinzaglio”. Tutto è andato bene durante lo svolgimento del filo ma poi, quando si è arrivati a circa 19 km, si è verificato un corto circuito che ha tagliato il cavo, liberando il satellite che è finito su un’orbita più alta.
La mia seconda esperienza nello spazio ha coinciso con una delle prime missioni di costruzione della Stazione Spaziale Internazionale. In quell’occasione ho avuto il privilegio di essere il primo europeo a salire a bordo della base orbitante. Dovevamo installare una specie di “gru spaziale” che sarebbe diventato uno strumento indispensabile per agganciare i futuri elementi della stazione. A bordo dell’Endeavour c’era anche Raffaello, un modulo italiano, che trasportava i rifornimenti per l’equipaggio della Stazione Spaziale.
Cosa si prova ad essere tanto distanti dalla Terra e a poterla osservare da un punto di vista così privilegiato?
In realtà siamo in orbita a qualche centinaio di chilometri dalla Terra ma sono sufficienti per vederla come uno straordinario corpo celeste caratterizzato dal colore degli oceani: un “pianeta azzurro”, come lo hanno ribattezzato gli astronauti. Dallo spazio, si può osservare quest’oasi colorata circondata da un interminabile abisso di vuoto e si è colpiti dalla sua fragilità. Oltre alla sua solitudine, si vedono le ferite inferte dall’uomo: l’inquinamento, gli incendi, la deforestazione. Siamo molto fortunati a vivere su questo magnifico pianeta ma sembra che l’umanità non se ne renda conto. Viaggiare nello spazio insegna prima di tutto ad amare la nostra Terra e a cercare di proteggerla anche perché, al momento, è l’unico pianeta che abbiamo!
Tra le sue attività correnti vi sono anche molti incontri nelle scuole. Qual è la domanda più curiosa che le ha rivolto un bambino?
Una volta un bambino mi ha chiesto se era possibile parlare con una stella. Sulle prime sono rimasto perplesso ma poi ho risposto che, anche se non si può parlare con le stelle, si possono ascoltare i suoni che le stelle emettono per mezzo di potenti radiotelescopi.
Ha al suo attivo anche una prolifica attività giornalistica ed editoriale, inclusi due libri pubblicati nel 2019. Ce ne può parlare?
Per la mia generazione, viaggiare nello spazio è stato un sogno quasi impossibile ma, in questo nuovo secolo, l’esplorazione spaziale sta vivendo una fase d’improvviso sviluppo. Nei prossimi decenni, lo spazio sarà un ambiente dove andare a lavorare e magari a vivere o a passare le vacanze. Per questo ho scritto la Guida per giovani astronauti, per parlare ai ragazzi dell’esplorazione umana dello spazio ma anche del lavoro degli scienziati, dei tecnici e dei robot che ci hanno fatto conoscere la complessità dell’Universo. Racconto la mia esperienza agli studenti che saranno i protagonisti di questa nuova “era spaziale” e, quasi certamente, avranno la possibilità di viaggiare oltre l’orbita terrestre e di mettere piede sulla Luna e su Marte.
Quest’anno è anche il 50esimo anniversario del primo sbarco sulla Luna e, anche in questo caso, ho voluto celebrarlo con un libro dedicato ai giovani: Voglio la Luna. Ho scelto di parlare della Luna non solo dal punto di vista delle conquiste spaziali e della scienza, ma anche guardando al ruolo che il nostro satellite ha avuto nella letteratura, nella musica e, in generale, nell’immaginario collettivo dell’umanità.
Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti. Quale le ha dato maggiore soddisfazione?
Sono molto onorato della nomina di “Commendatore della Repubblica” da parte del Presidente Luigi Scalfaro e quella di “Grande Ufficiale della Repubblica” conferitami dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi. Il riconoscimento che mi ha dato più soddisfazione, però, è quello di un corpo celeste che porta il mio nome: grazie all’asteroide 10605-Guidoni, posso dire di essere ancora in viaggio nello spazio!
Prossimi obiettivi?
Da tempo ho appeso al chiodo la tuta da astronauta ma continuo a seguire con grande interesse tutto quello che avviene nello spazio. In questi ultimi anni mi sono dedicato a parlare in pubblico, specialmente nelle scuole e nelle università, per comunicare il fascino dell’esplorazione spaziale e, più in generale, della scienza. Riflettere sulla complessità dell’universo e sui progressi scientifici e tecnologici che ci hanno portato a viaggiare nello spazio è un modo di combattere una certa deriva anti-scientifica che appare in aumento in questi ultimi anni. È un po’ paradossale che, mentre ci stiamo preparando a tornare sulla Luna e a esplorare Marte, ci sia ancora qualcuno che crede che la Terra sia piatta!
In copertina: Umberto Guidoni
(immagini: www.umbertoguidoni.com)