CORREGGIO E PARMIGIANINO - Da Parma a Praga
Le strade di due grandi del Rinascimento parmigiano, attraverso le loro opere, si intrecciano con quella di una delle più esclusive collezioni europee, purtroppo dispersa: quella di Rodolfo II d’Asburgo. La “Scuola di Parma” fu costituita da coloro che si formarono guardando il Correggio al lavoro soprattutto in San Giovanni Evangelista; tra questi c’era anche un giovanissimo Parmigianino, proveniente dall’unica bottega presente allora a Parma: quella della sua famiglia. Correggio si può definire come il capostipite di una scuola di artisti che poi ebbe un successo europeo, arrivando a influenzare anche i pittori fiamminghi.
Antonio Allegri, detto il Correggio (1489 Correggio – 1534 Correggio), e Francesco Mazzola, detto il Parmigianino (1503 Parma – 1540 Casalmaggiore), sono nominati insieme nelle Vite del Vasari, accanto a Leonardo, Raffaello e Michelangelo, come gli iniziatori della cosiddetta Maniera Moderna, uno stile che caratterizzò tutto il Cinquecento, famoso per la sua erudizione, ricercatezza e raffinatezza. Il Correggio venne nominato per la sua pittura piena di grazia, il Parmigianino come colui che alla grazia di Correggio aggiunse un ”eccesso di grazia e alla regola una licenza”. Con una serie di perifrasi Vasari indica il Parmigianino quale inventore del Manierismo. Un Manierismo che diventa europeo, arrivando fino a Fontainebleau e a Praga.
Sono tantissimi i pittori fiamminghi che vennero a studiare a Parma. Kare van Mander, nel suo volume sulla vite dei pittori fiamminghi (1604), scrive che tanti arrivavano per imitare il Parmigianino e, tra questi, quello che diventerà poi il pittore dell’imperatore Rodolfo II: Bartholomäus Spranger. Nato ad Anversa, dopo aver lavorato a Parigi e aver conosciuto l’Ecole de Fontainebleau, Spranger soggiornò nel 1566, ventenne, alcuni mesi a Parma, dove aiutò il Gatti negli affreschi della cupola della Steccata e studiò il Correggio (porterà a Praga l’uso delle nuvole come quinte) e il Parmigianino (le cui stampe aveva già copiato in patria). Trasferitosi a Roma, il cardinale Alessandro Farnese lo impiegò nella decorazione di alcune stanze della dimora di Caprarola. Poi, dopo aver servito il papa Pio V, l’artista andò a Vienna e a Praga al servizio degli imperatori Massimiliano II e Rodolfo II. Forte di tutte queste esperienze, Spranger sintetizzò pittoricamente una vasta cultura internazionale, nella quale emerse con evidenza la ‘matrice‘ della Scuola di Parma, impressa da Correggio e Parmigianino. Pittore di corte dal 1581, con l’architetto Joseph Heintz e con Hans von Aachen, viaggeranno in Europa alla ricerca di opere per la collezione imperiale.
Trasferendo la capitale dell’Impero da Vienna a Praga, Rodolfo II fondò un centro di cultura che richiamò artisti, letterati e studiosi delle più varie discipline. Il suo mecenatismo, che intendeva perfezionare la tradizione della casa d’Asburgo, dette luogo alla caratterizzazione praghese del Manierismo europeo di fine secolo, crocevia di un’arte propriamente rudolfina, che fu un Manierismo per certi aspetti ritardato, per altri sospeso fuori del tempo, tra i modelli del Parmigianino e di Fontainebleau e quelli a venire dell’erotismo settecentesco.
Al centro di un Impero agitato da turbolenze politiche e contrasti religiosi, Rodolfo costruì per sé un mondo cosmopolita, governato da arte, scienza e libero pensiero. Più che contemplare opere d’arte, il sovrano intendeva vivere esperienze di conoscenza e di estetica all’interno di una concezione idealizzata della realtà in cui l’esaltazione della dinastia e l’autocelebrazione divennero compulsive. In lui era forte il bisogno di emulazione: non ebbe pace finché non entrò in possesso delle raccolte dello zio, arciduca Ferdinando del Tirolo e signore di Ambras, per aggiungerle alle proprie e ottenere così la più ricca Wunderkammer di tutti i tempi.
Rodolfo cercò di procurarsi quanto di più raro e prezioso egli potesse raggiungere per mezzo dei suoi agenti. Fra i suoi consiglieri, il celebre commerciante d’opere d’arte Jacopo Strada e suo figlio Ottavio.
Dallo scultore veneziano Alessandro Vittoria, amico di Jacopo Strada, passò a Rodolfo l’Autoritratto allo specchio di Parmigianino, ora a Vienna (Kunsthistorisches Museum). È il primo autoritratto dell'artista, dipinto a 21 anni per papa Clemente VII. Il volto efebico, dalle labbra carnose e gli occhi grandi e chiari, viene riflesso in uno specchio convesso con effetto straniante sulla luce e sulla tela posta sul cavalletto e con la proposizione in primo piano della lunghissima, enorme mano destra, “strumento” dell’abilità del pittore.
L’autore lo regalò a Clemente VII, il quale lo donò a Pietro Aretino, che lo portò ad Arezzo dove l’osservò Vasari, che così lo descrisse: “E perché tutte le cose che s’appressano allo specchio crescono, e quelle che si allontanano diminuiscono, vi fece una mano che disegnava un poco grande, come mostrava lo specchio, tanto bella che pareva verissima” (Le vite, 1568). L’opera giunse quindi allo scultore vicentino Valerio Belli e dopo la sua morte, avvenuta nel 1546, attraverso suo figlio Elio Belli fu acquistata nel 1560, per dieci scudi, da Alessandro Vittoria a Venezia: da questi giunse a Rodolfo II nel 1608.
Rodolfo fu collezionista appassionato e talvolta privo di scrupoli. La sua predilezione per soggetti sensuali era nota a tutti. Il fatto che desiderasse, anche in questo campo tematico, la massima qualità artistica è dimostrato dalle snervanti contrattazioni intercorse in Spagna per potersi impossessare della serie degli Amori di Giove del Correggio.
Già nel 1598, alla morte dello zio Filippo II, Rodolfo aveva allertato l’ambasciatore a Madrid, Hans Khevenhüller, per ottenere i quadri della raccolta reale spagnola, oltre a quelli confluitivi dalla collezione dell’ex segretario Antonio Pérez. I migliori, però, se li aggiudicò Pompeo Leoni, che li rivendette a Rodolfo II tra il 1601 ed il 1603. Partirono per Praga raffinati dipinti, di cui l’imperatore ammirava l’invenzione, come il Cupido che fabbrica l’arco del Parmigianino, insieme alla sensuale serie degli Amori di Giove di Correggio, cui appartengono la Danae, ora a Roma nella Galleria Borghese, la Leda di Berlino e i viennesi Giove e Io e Ratto di Ganimede, inseguiti per vent’anni da Khevenhüller per la brama di Rodolfo.
Cupido che fabbrica l’arco, del Parmigianino, databile al 1533-1535 circa, stando al Vasari, venne commissionato da cavalier Francesco Baiardo, amico e patrono del Parmigianino. L’opera ereditata da Marcantonio Cavalca, in seguito passò ad Antonio Pérez, segretario di Stato di Filippo II di Spagna. Nel 1579 Pérez cadde in disgrazia e, dopo essere stato condannato a pagare una forte multa, dovette vendere il dipinto, attirando l’interesse del conte Khevenhiller, intermediario per Rodolfo II. L’opera, sequestrata, entrò nei beni della casa reale spagnola e solo dopo alcune trattative, tra il 1601 e il 1603, fu acquistata dal conte, per Rodolfo, assieme agli Amori di Giove del Correggio, in tutto quattro dipinti: Ganimede e l’aquila, Leda e il cigno, Danae e Giove ed Io.
La prima testimonianza su questa serie di dipinti fu quella del Vasari, che ricordò come Federico Gonzaga aveva commissionato due dipinti a Correggio da donare all’imperatore, Carlo V, in occasione del suo viaggio in Italia del 1530. Secondo studi più recenti, il ciclo degli Amori di Giove potrebbe essere stato realizzato per la Sala di Ovidio in Palazzo Te a Mantova, destinata all’amante del duca, Isabella Boschetti. Nel Trattato dell’arte della pittura, scoltura et architettura, edito a Milano nel 1584, Lomazzo scrisse di aver visto i dipinti di Correggio che ritraevano Giove e Io e la Danae nella collezione d’arte dello scultore Leone Leoni. Ancora non è chiaro come fossero giunte nella collezione milanese: c’è chi sostiene che le tele furono regalate a Leone da Filippo II, figlio di Carlo V; chi suppone che i quadri furono acquistati dal collezionista direttamente dal Correggio; chi infine dice che le tele, di proprietà di un favorito di Filippo II, Pérez, vennero acquistate da Leoni dopo la sua caduta in disgrazia. Di sicuro nel 1601 il figlio di Leoni, Pompeo, si accordò con l’ambasciatore di Rodolfo II per vendere le tele della Danae e di Giove e Io, che presero la strada per Praga nel 1603.
La straordinaria collezione di Rodolfo, in parte è andata persa; sono sopravvissute le opere trasportate a Vienna già nel 1612 alla sua morte, fra queste Giove ed Io e il Ratto di Ganimede di Correggio e l’autoritratto allo specchio e Cupido che fabbrica l’arco di Parmigianino. Nel 1648, all’indomani di una strenua seppur vana resistenza alle truppe svedesi del conte von Königsmarck, che depredarono Praga, il generale torturò il tesoriere Dionysio Miseroni per ottenere le chiavi della Kunstkammer con l’inventario redatto nel 1647, oltre a farne compilare un altro. Sembra che il terribile Sacco del 1648 fu innescato proprio per ottenere le raccolte di Rodolfo II per la figlia del re Gustavo II Adolfo, Cristina di Svezia. Di questo gruppo facevano parte la Danae e la Leda di Correggio. Dopo l’abdicazione e la conversione, nel 1655 Cristina si trasferì a Roma, a palazzo Riario alla Lungara, insieme alla raccolta, con cinquantasette quadri del lotto praghese, soprattutto Correggio e veneziani; gli altri dipinti, rimasti a Stoccolma, andarono distrutti durante gli incendi del 1697 e del 1702.
(Articolo pubblicato sul Volume 7 di CIAOPRAGA)
In copertina: Cupido che fabbrica l'arco (anni 30 del XVI secolo), Parmigianino, Kunsthistorisches Museum, Vienna.