IL MARITOZZO - Il dolce romano per eccellenza
Quando mi chiedono cosa ne penso della pasticceria romana io, romana di nascita ma con un albero genealogico esteso fino ad un paesino toscano “incastrato” tra Lucca e Prato, tendo a tergiversare, a prendere tempo, perché è molto complicato dare una risposta esaustiva.
Ebbene sì, se la memoria non m’inganna, Roma non può essere annoverata tra le città che vantano capolavori dolciari come Milano con il suo “Panetún”, Torino con il suo “Gianduiotto” o Napoli con i suoi babà; nel food romano, infatti, sono noti i bucatini all’amatriciana, i rigatoni alla “pajata” o gli spaghetti alla “gricia”, ma sicuramente non i nostri dolci.
Eppure, volendo essere pignoli, a Roma si contano oltre 600 attività tra pasticcerie e “cornetterie”, dislocate in tutti i quartieri, dal centro storico alla periferia, aperte sette giorni su sette, a volte anche per quasi 24 ore al giorno; quindi, sebbene non ci sia un dolce “storicamente” riconosciuto come romano, non si può pensare che non ci sia un forte legame tra questa città, il suo tessuto sociale, le sue tradizioni e la pasticceria.
Da che ho memoria invero, ogni domenica mattina, dopo la messa di mezzogiorno, intere famiglie sciamavano dalle numerosissime chiese che si contano nella Capitale verso le tante pasticcerie di quartiere, per comprare le cosiddette “pastarelle”; una moltitudine di piccoli e grandi consumatori, assidui frequentatori di queste magiche “botteghe” profumate di vaniglia e cacao, che non potevano non finire il pranzo domenicale senza un bignè alla cioccolata o un cannolo alla crema.
Non solo…tanti di questi stessi fruitori, tra cui la sottoscritta, si trovavano spesso a chiudere una serata, magari un “post discoteca”, quindi a tardissima notte o quasi all’alba, mangiando cornetti caldi ripieni di crema e gianduia, oppure il famigerato “maritozzo con la panna”, accompagnando il tutto, quasi sempre, con un cappuccino caldo, senza disdegnare a volte anche un buon moijto.
Ed è forse proprio “il maritozzo” che realmente merita il titolo di dolce romano per eccellenza; non un cornetto, non una pastarella, ma neanche una brioche siciliana. Essenzialmente un panino dolce di forma oblunga, questa bontà è un semplice impasto lievitato al sapore di burro, miele e uova, racchiuso in una crosta sottile e lucida che ne mantiene la fragranza e la morbidezza interna; ripieno di panna montata rigorosamente poco zuccherata, “il maritozzo” detiene il record della miglior colazione che si possa fare a Roma.
La tradizione romana racconta che questo dolce, definito per l’occasione “er santo maritozzo”, veniva anticamente preparato con pinoli, uva e scorzette di arancia ed era usanza, il primo venerdì del mese di Marzo – festività paragonabile al nostro odierno San Valentino – donarlo all’amata o alla futura sposa, nascondendo al suo interno un gioiello o dei preziosi; proprio da questa tradizione deriva il suo nome, maritozzo, ovvero un vezzeggiativo burlesco della parola “marito”; in definitiva un simbolo di amore su cui venivano anche disegnati mani o cuori intrecciati, oppure un cuore trafitto da una freccia – «dù cori intrecciati, o ddù mane che sse strignéveno; oppuramente un core trapassato da una frezza».
Anche nel Medioevo troviamo note storiche su questo panino dolce; durante la Quaresima infatti la Chiesa, in segno di penitenza, imponeva dei digiuni severissimi ad un popolo di per sé già molto indigente; solo il maritozzo, preparato come “dolce d’emergenza”, era ammesso come eccezione concessa al digiuno quaresimale; una popolare canzone romana lo descriveva così: "pani di forma romboidale, composti di farina, olio, zucchero e talvolta canditure o anaci o uve passe. Di questi si fa a Roma gran consumo in quaresima, nel qual tempo di digiuno si veggono pei caffè mangiarne giorno e sera coloro che in pari ore nulla avrebbero mangiato in tutto il resto dell’anno”; lo stesso poeta romano Gioacchino Belli ne parla nel suo sonetto “Er padre de li santi".
Inutile dire che oggi, sebbene abbia perso la sua funzione di utilità prevista nel Medioevo, il maritozzo ha un ruolo preminente nella vita sociale romana, sia diurna che notturna; che tua sia romano – e quindi certe nozioni le hai “per nascita” – o che tu sia un turista in visita – e quindi ti sei munito di tutte le informazioni che il Web ti può aver fornito – non puoi non esserti imbattuto in uno degli innumerevoli locali, bar, pasticcerie, laboratori artigianali e cornetterie varie che quotidianamente sfornano e farciscono questi “panini dolci e pannosi”.
I locali storici di Roma, posti in quartieri quali Il Ghetto, l’Esquilino, Trastevere, Testaccio, Monti, vantano una vera e propria rivalità nella produzione quotidiana del maritozzo: la pasticceria Regoli a via dello Statuto, il Forno Panella dietro Santa Maria Maggiore, Romoli nel quartiere Trieste, fino ad arrivare alle numerosissime attività di pasticceria gestite delle varie famiglie toscane - Duranti, Cristiani, Marinari - trapiantate a Roma nel dopo guerra; ognuna di loro, con la propria ricetta di famiglia, il proprio dosaggio o l’aggiunta di un ingrediente segreto, non solo ha tramandato una tradizione quasi unica nel suo genere ma ha accompagnato la colazione dei romani attraverso tutti gli innumerevoli contesti storici, politici, religiosi e culturali in cui la città eterna è stata da sempre coinvolta.
Varie sono le vicende che capitano ogni giorno a Roma ed altrettanto numerosissime e ben note sono le attività “da fare” e le cose “da vedere” quando vieni a visitarla: la monetina nella Fontana di Trevi, il cannone di mezzogiorno al “Gianicolo”, la mano nella “Bocca della verità”, i Musei Vaticani, Villa Borghese, Trinità dei Monti e potrei continuare all’infinito; ma ci sono alcune tipicità che solo una “romana” può consigliarti, come mangiare un filetto di baccalà alla friggitoria a Largo dei Librari, dare un’occhiata dal buco della serratura del Giardino degli Aranci, all’Aventino, e consigliarti tra le tante pasticcerie per far colazione con un “maritozzo alla panna” e cappuccino.
(Articolo pubblicato sul Volume 6 di CIAOPRAGA)