EGITTO - II viaggio come cura per l'anima

EGITTO - II viaggio come cura per l'anima

Dopo quasi due anni di pausa forzata, sono tornata a viaggiare con zaino in spalla e macchina fotografica in mano.

Certo, non è che non abbia proprio smesso di fare la viaggiatrice durante questo periodo dove il mondo sembra essersi fermato. Ho avuto tante altre occasioni di prendere e partire, attraversare l’Europa in lungo e largo. Ma per me la vera emozione è prenotare un biglietto aereo di sola andata verso mondi in apparenza tanto diversi quanto simili, tornare a respirare aria di libertà e sentirmi, di nuovo, l’amica straniera di sempre: perennemente in viaggio, perennemente in esplorazione.

La mia meta sarà l’Egitto.

Inizio il viaggio da Alessandria: città sulla costa mediterranea, che per me rappresenta il giusto equilibrio tra una tranquilla località marina e un’assordante metropoli come il Cairo. È un luogo dove si possono incontrare e osservare varie tipologie di persone: dall’uomo d’affari che sale sul minibus colmo di gente in giacca e cravatta a donne vestite con abaya e hijab che camminano sul lungomare, ad altre con jeans e tacco a spillo che sorseggiano un cappuccino in uno dei tanti Starbucks della città. Una miscela di culture, pensieri e religioni diverse, che rendono le persone di questa città libere di mostrarsi per ciò che sono.

Tra i punti di riferimento architettonici e culturali, la Biblioteca Alexandrina è sicuramente degna di nota: uno spazio in cui perdersi ammirando la precisione delle linee architettoniche e l’ordine dei vari scaffali, respirando un silenzio desiderato e rassicurante in mezzo alla miriade di rumori del centro città e viaggiando attraverso la storia dei secoli, con otto milioni di libri provenienti da tutto il mondo. 

Felice e spensierata, girovagando per le strade della città con la brezza marina che mi tiene compagnia, continuo la mia scoperta visitando altri siti storici – come la Cittadella di Qaitbay e la Colonna di Pompeo, nel parco archeologico di Alessandria - incontrando quei pochi turisti internazionali che ancora riescono a viaggiare senza paura e altri, come me, senza una precisa meta.  

La Cittadella è stata per anni il simbolo della difesa della città contro l’Impero Ottomano: costruita nel XV secolo, la fortezza è sempre stata ben tenuta, anche nei secoli successivi e durante varie invasioni, vista la sua posizione strategica sul Mar Mediterraneo. Oggi è considerata una delle più importanti e antiche fortezze del Nord Africa, da cui si ha una vista sul mare quasi a 360°, forse motivo per cui trovo molti turisti a scattare la ‘foto perfetta’ e viaggiatori intenti ad osservare l’infinito, persi nei loro pensieri. 

Dall’antica fortezza e a soli dieci minuti di taxi, passo a una storia ancora più lontana - quella del grande Impero Romano - visitando il sito archeologico della Colonna di Pompeo: pilastro trionfale in granito rosso e sormontato da un capitello corinzio, eretto in onore dell’Imperatore Diocleziano. Rimango impressionata sia dalla grandezza della colonna - rimasta quasi intatta e rappresentante, oggi, il centro di quello che era il Tempio di Serapide (Il dio dell’Universo) - sia dalla totale assenza di visitatori.

Dopo quattro giorni di lunghe camminate, saluto la ridente cittadina sul mare e prendo un autobus alla volta di Marsa Matrouh, dove incontro Menna e Mayar (nell’immagine): sono due amiche conosciute qualche anno fa alla stazione di Milano Centrale, mentre cercavano disperatamente qualcuno che parlasse inglese e le aiutasse a trovare il treno per Como.
Ricordo ancora quando Mayar mi disse “Facci sapere quando vieni in Egitto: sarai nostra ospite!” e così è stato. Non avrei mai pensato di non riuscire a spendere neanche venti centesimi per una bottiglietta d’acqua: dopo due giorni di “Pago io, per favore!”,Fatemi pagare!”, cercando di dare soldi ai camerieri che mi sorridono e poi non mi considerano, ho capito che se in Egitto sei una loro ospite, è una battaglia persa in partenza.

Matrouh è l’anima turistica della costa occidentale del Paese, dalle acque cristalline e dal clima mite che, ogni estate, si riempie a dismisura di gente proveniente da tutto l’Egitto e da tutta Europa. Agiba e la Spiaggia di Cleopatra (nell’immagine) sono le mete più gettonate durante la stagione estiva: gli stessi luoghi che - trovandoci nel periodo, per loro, “invernale” - riesco a visitare senza neanche l’ombra di un turista.

Se dovessi descrivere la spiaggia di Agiba con una parola, direi “meraviglia”, proprio come è stata soprannominata dagli egiziani: un dipinto di acque turchesi e sabbie bianche incastonate in quell’abbraccio roccioso che, visto dall’alto, rende tutto più sensazionale e incredibile. Un posto che mi toglie il fiato, mentre mi perdo a contemplare l’infinità del mare e ad ascoltare il vento che mi sussurra pensieri e ricordi nell’orecchio. È il potere della natura.

Trascorro l’ultimo giorno a Matrouh visitando il centro città, interrotta solo da alcune voci timide di ragazzini che chiedono una foto, dagli sguardi curiosi di donne coperte fino agli occhi e da una miriade di “Hello! Where are you from?”. Al contrario di Alessandra, mi accorgo che i miei abiti sono poco consoni alla cultura locale, molto più conservativa, che sono sorpresa di trovare in questa zona, essendo Matrouh una meta molto turistica. Da quel momento decido quindi - malgrado il caldo - di indossare una giacchetta per coprire spalle e braccia.

Il centro città è piccolo, si gira tutto a piedi, e spesso e volentieri si incontrano le stesse persone salutate il giorno prima. La gente è gentile, il pesce è fresco, ottimo e molto economico, ma i taxi fuori stagione sono quasi inesistenti. E quei “due minuti e arrivo!”, quando qualcuno ti risponde, vogliono sempre dire “dammi almeno mezz’ora e sono lì…forse”. Inshallah!
Anche questo, però, fa parte dell’imprevedibilità dei viaggi non organizzati.

Dopo oltre cinque ore di autobus, tra la vastità del deserto occidentale e il nulla intorno, arrivo a Siwa: una vera e propria oasi mediterranea ricca di sorgenti minerali, laghi d’acqua salata, palme e oliveti. Mai avrei pensato di trovare così tanti oliveti in mezzo al deserto.

Anche in questo caso, la gente del luogo è incredibilmente gentile e disponibile e, quando chiedo di poter cambiare i soldi nel piccolo hotel in cui soggiorno (l’unica banca in “città” è chiusa, essendo venerdì), non solo trovano il modo di farlo ma mi danno anche più soldi di quanto previsto dalla conversione.

Ecco, in questa piccola oasi sperduta in mezzo al nulla, riesco a ritrovare quello che negli ultimi anni mi è tanto mancato: la semplicità dell’essere.
I bambini scorrazzano tra le viottole senza sosta, soli e scalzi, ridendo, nascondendosi, giocando con i passanti. Se mi perdo, le persone mi accompagnano a piedi alla meta. I commercianti mi fanno pagare la merce al prezzo riservato ai locali e gli autisti adolescenti - senza patente - che guidano i tuk tuk mi aiutano, orgogliosi e con una gentilezza di altri tempi, a salire sulla loro ‘Ferrari’: una motocicletta con attaccato un carretto per trasportare i turisti, tenuta benissimo e con i cuscini che ammortizzano il colpo, quando si prendono le buche.

Potrei consigliare di visitare Siwa per le sue bellezze naturali, ma mentirei. Non perché non ne valga la pena, anzi, ma perché il grande fascino di questo villaggio è rappresentato dalla sua gente: dalla loro gentilezza, spontaneità e da quel senso di fratellanza di cui abbiamo costantemente bisogno, in particolare di questi tempi. Altrimenti, che senso ha viaggiare, scoprire, esplorare se, prima di tutto, non si compie un viaggio interiore e si riaccende quella fiamma di emozioni che credevamo perdute?   

L’Egitto è stato per me una vera e propria carezza al cuore. Una cura per l’anima, necessaria e apprezzatissima.

Copertina: bambini a Siwa
immagini di Federica Petrilli

 

 

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