GIANNI GAGLIARDO - Barolista per amore
Un vitigno Nebbiolo non vale l’altro: è ciò che si impara subito quando si parla di Barolo, uno straordinario rosso sinonimo di Made in Italy. Undici comuni vocati, una storia regale, legata alla famiglia Savoia che regnò in Piemonte e poi in Italia, il Barolo è sempre stato un vino da export e d’alto reddito. Poi luoghi incantevoli, colline curatissime che hanno dato vita al brand Langhe, su cui si affaccia il cortile a La Morra di Gianni Gagliardo, uno dei più noto barolisti al mondo.
Nato nel 1950 a Roero, una zona collinare prossima alla Langhe, selvaggia e costellata di castelli e bei borghi, questo illuminato imprenditore vive una vita preordinata e regolare fino a quando, sulla sua strada, arriva l’amore: e tutto cambia. Oggi i Poderi Gianni Gagliardo si espandono da La Morra in cinque comuni con otto vigneti e producono Barolo, Nebbiolo, ma anche Fallegro e Barbera. Innovatore ed anticipatore di nuove strade e nuove vie, Gagliardo è tra i primi a dedicarsi all’export proiettato su orizzonti lontani, ma sempre con un occhio al territorio e alla sua storia contadina, come quando si è messo a caccia delle ultime viti di Favorita e ha dato vita ad un progetto di recupero di una varietà di Vermentino dell’entroterra che, altrimenti, si sarebbe estinta. Poi l’Accademia del Barolo. L’Asta del Barolo. Gianni Gagliardo non si è mai fermato e ci racconta perché e cosa ama di più.
Gianni Gagliardo: barolista. Lei, però, non è nato da una famiglia di produttori di vini, come ha incontrato il Barolo?
Tramite la famiglia, comunque. Mio suocero aveva piccole vigne in Langa. I grandi piaceri sono contagiosi: nella vita accade che qualcuno o qualcosa ti provoca un desiderio e lo devi seguire. Almeno, a me è successo così. Poi ho avuto un uomo che mi ha fatto da guida. È partito tutto da una collina a Serra dei Turchi, una frazione di La Morra, a pochi chilometri da Alba e da Barolo.
A distanza di quarant’anni dall’esordio il suo nome significa “Barolo”. Oggi, è tra i produttori più noti. Questo, per lei, rappresenta una gratificazione oppure una responsabilità?
Il lavoro mi piace talmente tanto che è fuso con la mia vita privata. Sicuramente mi permette di vivere una vita piacevole, ma non mi soffermo a pensare a questo. Mentre, certo, sento la responsabilità. Soprattutto quando viaggio e devo parlare di Barolo in modo più generale, non solo dei miei vini, della mia vita privata o della mia azienda. Noi produttori siamo un po’ tutti “soci”: condividiamo la proprietà anche immateriale di un territorio straordinario, quindi siamo tenuti a fare il bene della collettività dei barolisti, non solo il proprio.
Barolo è sinonimo di eccellenza. Qual è la cosa che più spesso le dicono gli stranieri quando viaggia per il mondo?
Più che espressioni si limitano ad apprezzamenti. Ci si pone di più la domanda sul perché ci sia una così grande stima e io penso che la risposta sia: “perché è garanzia di sicurezza”. Non sempre l’acquirente è in grado di capire i vini, tutti i vini, ma sa che Barolo significa certezza della qualità. Il Barolo è tutto buono: è un grande classico con cui non si sbaglia mai.
Le nazioni più innamorate di questo prodotto?
È un vino d’arrivo, non è scelto da chi si approccia al prodotto vino. Ha più successo in quei paesi in cui la cultura esiste o dove l’interesse è nato prima. Gli Stati Uniti sono sicuramente in vetta, ma anche il Canada. Diciamo che possiamo parlare di tre macro aree con livelli diversi di apprezzamento e acquisto: nord America, Europa (soprattutto il nord è in evoluzione) e poi l’Oriente, in cui anche il palato è molto diverso.
Ci sono quindi nuovi mercati nel mirino di voi barolisti?
Ci sono paesi in cui l’apertura è fondamentale. Penso al Barolo in Cina, che può essere l’opposto della situazione negli USA. In Cina l’approccio al vino è iniziato come uno status symbol, con vini più semplici, mentre oggi si sta formando una cultura enologica, ma l’iter per apprezzamento è ancora lungo. Stiamo lavorando molto per affinare il palato e far comprendere a pieno un prodotto articolato come il Barolo. Poi ci sono paesi più lontani, che sono impegnativi per gli spostamenti come l’Australia che, però, essendo un paese produttore, ha una cultura già molto diversa. Ha, quindi, un interesse più radicato e ha grande abitudine al buon vino: è interessante! Anche se il Barolo è una nicchia per appassionati.
Che valore ha oggi l’export di questo rosso di Langa?
Non ci sono studi precisi, ma si attesta tra l’80 e l’85%. I Poderi Gianni Gagliardo sono intorno all’85%, ma va tenuto conto che il restante 15%, venduto in Italia, è spesso comprato da stranieri che visitano il nostro paese.
Oltre all’attività di produttore ha sempre affiancato altri impegni, più di rappresentanza. Quali è perché?
Sì, seguo due gruppi che ho anche contribuito a fra nascere. Qui in Piemonte, diversamente da altre zone vinicole, i produttori sono piccoli, per cui fare squadra è importante. Come presidente di Made in Piemonte, un’associazione di 85 produttori, sviluppiamo progetti in paesi extra CEE quali degustazioni, eventi. Ogni anno scegliamo cinque o sei città nel mondo. Di recente abbiamo organizzato iniziative molto partecipate a Shanghai e New York. Per la prima volta, abbiamo realizzato anche una guida per visitare le cantine, non solo di Barolo. Poi, con una decina di colleghi, dieci anni fa è nata l’Accademia del Barolo, che aveva compiti più divulgativi di studio, valorizzazione e interazione con il territorio. Da quest’anno è confluita in Deditus: abbiamo realizzato, da poco, un circuito in ristoranti con binomio Barolo-Tartufo. Un gran successo.
Con il territorio e il turismo che rapporto c’è?
Quello con il territorio ed il turismo è ormai un link essenziale. Le persone vogliono vedere dove nasce un prodotto, vivere l’esperienza di persona.
È stato anche ideatore dell’Asta del Barolo? Come è nata e perché?
Prima come cantina, poi come Accademia Del Barolo: è stato il primo esempio di Asta di un solo vino in Italia, con collegamenti dall’estero e lanci di lotti pregiatissimi, che i produttori hanno nelle loro cantine; quindi, certificati nella conservazione. Una formula, anche per il ricavato in beneficenza, che poi è stata riutilizzata per il tartufo d’Alba. È stato un modo per coinvolgere anche la stampa internazionale, portandola a visitare i nostri luoghi e dando risonanza ad un grande lavoro.
Tornando al prodotto Barolo, ci sono novità in cantina?
Lavoriamo sempre per migliorare la qualità. Quest’anno vi sono due novità. Innanzitutto, la presentazione di Serra dei Turchi, un cru storico. È la prima vigna da cui siamo partiti ed il vitigno che più di ogni altro rappresenta le nostre radici. Qui, abbiamo lavorato ad una selezione speciale sugli acini, un’estremizzazione della qualità: è un gioiello, con sole 130 magnum. Confesso che mi spiace persino venderlo. Inoltre, il prossimo anno finalmente sarà pronto Monvigliero, un cru in stile La Morra, l’ultimo terreno acquistato: questo prodotto è elegante e può riscontrare l’interesse di coloro che, nel mondo, vogliono esplorare declinazioni diverse di Barolo.
Avrete ricevuto anche molti premi?
Si, ma non presto più di tanta attenzione a questo. È importante la costanza nei punteggi delle guide e nella critica di alcuni esperti mondialmente riconosciuti. È la continuità nell’alto livello che conta più di un’occasione spot. Il vero premio è il consenso e l’apprezzamento dei consumatori.
Tre figli in azienda: nuove visioni, nuove imprese. Quali?
Qualità, qualità, qualità! È la parola che ricorre di più, quando ci confrontiamo. È la strada che percorriamo da anni e l’obiettivo che tiene insieme il gruppo di lavoro il quale, nel nostro caso, è una famiglia. Naturalmente, c’è l’attenzione al mondo che cambia, ma il Barolo è Barolo. Punto.
Oltre al vino cosa l’appassiona?
L’acqua. (ride)
In che senso?
Mi appassiona il mare. Ho una casa sulla costa francese: appena posso fuggo. Mi piace guadare il mare e riposarmi dai viaggi. In barca, tra le onde.
In copertina: Gianni Gagliardo
(immagini: www.gagliardo.it)