GIOVANNI DELÙ – Stile italiano nei giardini di Versailles  

GIOVANNI DELÙ – Stile italiano nei giardini di Versailles  

Giovanni Delù si definisce un giardiniere storico - un mestiere che racconta essere antico e moderno insieme - perché la terra su cui lavora da cinque anni, nel ruolo di responsabile della Orangerie de Châteauneuf, è quella del parco di Versailles.

Un traguardo importante e tutt’altro che scontato: partito dal Monferrato – dove da piccolo si esercitava inconsapevolmente al mestiere, salvaguardando le patate dell’orto del nonno dalle dorifere – ora è una “zappa in fuga” nel parco-simbolo della Francia.

Giovanni Delù nel Potager © Elena Secondo

Giovanni Delù nel Potager © Elena Secondo

Giovanni, la sua responsabilità riguarda un’area specifica del parco di Versailles: il Potager du Roi. Si tratta di un orto o di un giardino?

Lo definirei un orto-giardino, perché è un ibrido: non è solo un’area di produzione di frutta, verdura, e di fiori anche commestibili, come il carciofo, ma un elemento che adorna l’edificio della Orangerie. Direi che è la fusione per eccellenza tra tecnica ed estetica.

Dove si colloca l’area di cui si prende cura e come è nata?

La sua collocazione non è facilissima da comprendere. L’area di cui sono responsabile è all’interno del parco, nel giardino del Trianon. Si pensa che il castello di Versailles sia un edificio unico; in realtà ci sono anche due residenze private, dove la famiglia reale si ritirava per vivere in una dimensione meno pubblica. In quest’area c’è sempre stato un vivaio (il Potager du Roi, creato tra il 1678 e il 1683 da Jean Baptiste de la Quintinie, ndr): una zona con orti, frutta e primizie. Oggi la consideriamo una zona tecnica ma, di fatto, è un’area verde in stretta continuità con il passato.

È partito dal Piemonte dopo aver seguito corsi specifici e aver fatto pratica alla Reggia della Venaria Reale. Com’è arrivato a ricoprire un ruolo di così grande prestigio?

Lavorando. Ho cercato di farlo bene, anche se a volte con difficoltà: ci sono state annate in cui il clima non ha aiutato, con gelate che hanno rovinato tutto quello che avremmo voluto realizzare. Quando il mio vecchio capo ha deciso di andarsene, per me si è aperta un’opportunità. Sono stato promosso e ho deciso di apportare dei cambiamenti importanti nella gestione del Potager. Anche la zona verde è parte integrante del castello: è storia, è un pezzo di cultura. Credo, dunque, che vada promossa in quest’ottica.

Immagino siano necessarie tante competenze, non solo da esercitare sul campo?

Sì, anche se non sono richiesti degli studi specifici. Abbiamo accesso alle informazioni del Ministero della Cultura francese, a cui la struttura appartiene. Il castello ci offre inoltre l’accesso agli archivi, ai dati e ai rapporti dei vecchi giardinieri. Basta avere una grande curiosità. Ogni volta che, nel tempo libero, entro negli archivi e studio, mi appassiono e divento ancora più curioso. Tutto può essere fonte di ispirazione e, per me, è un piacere personale.

Spesso associamo il concetto di “storico” agli edifici o ai beni durevoli: pensare che una bella zucca abbia una sua stagionalità e una vita breve, è strano. Ci spiega cosa vuol dire giardino-orto storico?

Intanto voglio sottolineare che non abbiamo vincoli, non siamo conservatori. Possiamo innovare, ed è stato fatto. C’è, piuttosto, una continuità nelle regole dell’arte. Il giardino è effimero, ci si interroga sulla storia e poi si rinnova ogni anno anche sulla base di temi specifici. C’è molta attenzione verso la coltivazione pulita. Quando diciamo ai ragazzi che possono prendere una fragola e mangiarla senza lavarla, ne sono molto stupiti.

Innovare? Per esempio?

Durante il primo anno di pandemia, si è deciso di progettare un’area in modo innovativo. Due colleghe, anche loro italiane - Elena Secondo e Fulvia Grandizio - hanno concepito un parterre africano. Abbiamo rotto gli schemi da un lato del Grand Trianon, area di cui Elena è responsabile; qui è stata creata una savana con vegetazione tropicale, canne di bambù, piante esotiche: l’edificio ha cambiato aspetto completamente.  Qualcuno ha criticato la scelta ma penso che Luigi XIV fosse un innovatore e, anche nel giardinaggio, ha sempre cercato la novità. Ad esempio, è stato il primo a volere i tulipani, che poi sono diventati di moda ovunque. Questo allestimento è piaciuto moltissimo al National Geographic, che lo ha anche filmato.

Cosa significa alzarsi al mattino e andare a lavorare in uno dei luoghi più belli del mondo?

È fantastico! Ora vivo all’interno del parco, a cinquanta metri dal mio “posto di lavoro”. Una pace assoluta. Durante il periodo del primo lockdown abitavo ancora in città ma avevo l’accesso al giardino: era una bolla, un altro mondo. Penso che per tutti i giardinieri sia la stessa cosa. Questo luogo, è un po’ come se fosse nostro.

Quando sono arrivato e sono stato al Moulin de la reine, un locale della zona, mi ha colpito subito una frase che ho letto su un muro: “ovunque l’uomo ha portato il suo lavoro, ha lasciato una parte del suo cuore”, e vi era raffigurato un giardiniere!

C’è, per lei, un luogo del cuore?

Sì, certo! I giardini di Versailles sono suddivisi in due aree: Petit Parc, con dei boschetti davanti al castello, e Grand Parc: questo settore mi è piaciuto subito, fin dalla prima volta che sono venuto qui per uno stage. Credo sia anche perché ci lavora una squadra di giardinieri con cui mi sono trovato benissimo, diretta da un capo, Alain Baraton, che aiuta tutti a crescere, apprezza nuove idee e, proprio per questo, concede ampio spazio alla sperimentazione.

Veduta aerea del Trianon © Thomas Garnier

Veduta aerea del Trianon © Thomas Garnier

Un aneddoto di ieri o di oggi, collegato a questi luoghi?

Tanti. Ognuno ha il suo e alcuni sono anche goliardici. Siamo un po’ un’armata Brancaleone.

È possibile visitare l’Orangerie de Châteauneuf oltre alla Reggia?

Raramente, anche se è una cosa di cui si discute. Spesso sono ammesse scolaresche. Ci sono stati alcuni momenti specifici in cui è stata aperta per iniziative speciali, come un paio di anni fa, quando sono stati organizzati atelier tematici su frutta e verdura riservati a piccoli gruppi, ma per ora si tratta di occasioni sporadiche.

Tutte queste magnifiche verdure, la frutta, le erbe aromatiche, finiscono poi nei piatti di qualche fortunato, anche se non un re o una regina?

Sì, esistono degli accordi con alcuni ristoranti. Gli chef adorano la nostra verdura, di ottima qualità. Una qualità che è difficile da trovare e per questo, quando visitano il nostro orto, ne approfittano per assaggiare tutto!

Da un luogo da fiaba, quale sogno desidera condividere con i nostri lettori?

Voglio diventare giardinier chef di Versailles! (ride, ndr). Posso parlarne, perché lo dico spesso anche al mio capo!
Una cosa che invece vorrei, non per me stesso ma per il nostro splendido Paese, è che l’Italia tornasse a prendersi cura dei suoi giardini storici: delle vere e proprie eccellenze, spesso poco valorizzate. I giardini italiani offrono una varietà incredibile e sono studiati in tutto il mondo.

Copertina: Dettaglio del giardino tropicale
Immagine © Veronica Coppo

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