ANTONIO GUCCIONE – Quarant'anni di fotografia tra Milano, Parigi e New York
Antonio Guccione, fotografo di fama internazionale che ho avuto modo di conoscere circa un anno fa, ha vissuto a Parigi e New York e lavorato per i più importanti brand di moda, collaborando con importanti star internazionali. Nel suo studio di viale Monza a Milano mi ha raccontato com’è diventato un grande fotografo e ha spiegato cos’è per lui la fotografia, anche quella calata nella realtà digitale che ci circonda.
La storia di Antonio Guccione inizia all’età di 11 anni, quando per gioco riceve in regalo una macchina fotografica.
“Venticinque anni dopo la mia prima macchina fotografica, quando ero a Parigi, ho scoperto che un fotografo famoso faceva dei ritratti storti e volutamente non conformi per Vogue Francia, esattamente come i miei a 11 anni. Ho capito che non poteva essere un caso. È stata la fotografia a scegliere me, non il contrario”.
A parlare è l’artista, che negli anni successivi al servizio militare parte alla volta di Londra per fare l’assistente in uno studio fotografico, credendo che quello sia solo un altro modo per guadagnarsi da vivere, un lavoro come un altro. La sua vera passione è invece la musica, tant’è che ha studiato due anni di pianoforte al Conservatorio.
All’esperienza oltre Manica - ricca di formazione e di ricerca - seguono il rientro in Italia, il primo matrimonio e un figlio. Guccione si scopre un talento dell’arte fotografica e con le prime dieci stampe sottobraccio inizia la ricerca dei suoi personali clienti. Da qui nascono i primi lavori commerciali. La vera svolta, però, arriva qualche anno dopo e si chiama Gucci, brand che gli dà molta visibilità e lo fa approdare tra i grandi marchi della moda.
Gli anni ‘80
La voglia di emergere è sempre maggiore ma Milano non gli dà abbastanza soddisfazione professionale. Il fotografo ha aperto numerose porte in città, ma non riesce a ottenere la visibilità che merita.
“Quando fai il fotografo l’obiettivo è farti conoscere per quello che fai. Non devi guadagnare soldi, devi fare cose che piacciano al pubblico e lavorare per giornali importanti”.
A 35 anni Antonio Guccione va a Parigi e si ritaglia lo spazio che Milano gli aveva negato. Lavora per giornali come Harper’s Bazaar e L’Officiel, che gli procurano diverse soddisfazioni. Nella capitale francese non trova ostacoli e si relaziona perfettamente con l’ambiente.
“Ho presentato nuove idee ai francesi e sono stato accettato. Se si ha qualcosa da dire, il pubblico ti apprezza e ti accetta”.
Con questo spirito il fotografo resta sette anni in Francia, costruendo all’ombra della Tour Eiffel metà del suo archivio fotografico.
Nel frattempo, però, non dimentica l’Italia e lavora anche a Milano per riviste come Vogue Italia. Questi sono anche gli anni nei quali espone nel Palazzo della Permanente i suoi ritratti, uno dei lavori di cui è più fiero. Ha immortalato personaggi noti in ogni ambito: da Umberto Eco a Valentino e Versace, passando per Schifano e Franco Battiato.
Parigi e il successo però non bastano ancora ad Antonio Guccione, che verso la fine degli anni ’80 si trova in crisi, causa difficoltà nella sua vita privata. Decide di tornare a Milano per cercare la serenità e la sua vita cambia di nuovo. Incontra Pia, modella svedese e sua attuale moglie, di cui si innamora nel corso di un servizio fotografico svolto a Santo Domingo, eseguito per conto della rivista Amica. Insieme decidono di fare rotta su New York.
I lavori a New York
La svolta americana arriva all’inizio degli anni ’90 e si chiama Peter Tunney, un collezionista che lo coinvolge nel progetto Faces of New York, un lavoro lungo due anni che viene pubblicato nel 1992, in occasione del 500esimo anniversario della scoperta dell’America.
“I ritratti erano di persone famose e non, che transitavano per New York. Abbiamo lavorato due anni e poco prima dell’inaugurazione stavamo ancora appendendo i quadri. Fu un grande successo. I newyorkesi ci tengono molto a sottolineare come la loro città sia una bolla all’interno degli Stati Uniti e il mio lavoro rappresentava esattamente questo. Star come Anthony Queen e Richard Gere si ritrovavano affiancati a persone comuni, a sottolineare le mille sfaccettature e stranezze di New York”.
Il lavoro sui diversi volti di New York dà vita anche a un libro e a un film omonimi ma, nella grande mela, Guccione svolge altri importanti lavori nel campo della moda, collaborando con le più famose top model degli anni ’90, senza dare più molto peso all’Europa. Nel frattempo, dal matrimonio con Pia nascono due figli e la sua vita sembra destinata ad essere per sempre quella di un newyorkese, ma non sarà così.
“Non volevo che Pia fosse solo la mamma dei miei figli e noi tutti sentivamo l’esigenza di stare vicino a una delle nostre famiglie, in Svezia o In Italia”.
Milano e il futuro
Il ritorno a Milano, nel 1997, lo proietta di nuovo in un vortice di relazioni, e fino all’inizio del secolo lavora con le stesse modalità di quando aveva lasciato l’Italia anni prima.
“Le persone, se non spariscono definitivamente, le incontri di nuovo”.
E così arriva il 2008, quando Guccione avverte l’esigenza di fare più mostre e si avvicina progressivamente al tema della Vanitas, prima, e della Terra poi.
“Quando si muore si diventa terra e attualmente sto lavorando con la terra per tale motivo”.
Con questi due temi Guccione vuole sdoganare la morte. Per quanto riguarda il progetto Vanitas, i teschi che fotografa sono circondati da oggetti o caratteristiche che ricordano grandi personaggi del passato, che vivono ancora tra noi.
Artisti come Salvador Dalì, Leonardo da Vinci, Andy Warhol e Jackson Pollock trovano nelle fotografie di Guccione una loro collocazione attuale, nonostante siano persone defunte in epoche diverse.
Warhol / Pollock - © Antonio Guccione
A settant’anni Antonio Guccione è arrivato a utilizzare la fotografia come una forma d’arte a tutto tondo, togliendo l’immediatezza e la superficialità nelle quali il digitale spesso ci fa scadere. Guardando i suoi lavori si potrebbe pensare che dietro a questi ci sia un grosso lavoro di post produzione, ma non è così.
“La fotografia è un mezzo: è come il pennello per il pittore e la macchina da scrivere per uno scrittore. La macchina fotografica oggi è intesa solo come un mezzo che riproduce qualcosa. A mio avviso è un mezzo che, tramite il mio punto di vista, mi dà la possibilità di esprimermi. Il concetto di immortalare qui e ora non mi appartiene più. Impiego 15 giorni a fare un’installazione e poi la fotografo, cambiando i canoni della fotografia. La macchina fotografica è solo uno strumento, ma tutto parte dalla mia testa e dalle mie idee”.
“Il mio sviluppo artistico futuro non so quale sarà ma, in un’epoca di cambiamento continuo e repentino, vedo troppa cattiveria. So che questo influenzerà l’arte e le darà un nuovo indirizzo. Inoltre, ho vissuto e sto vivendo un’epoca di transizione tra il vecchio e il nuovo. Mi auguro di poter aiutare le persone con il mio lavoro, perché vedo in molti un bisogno concreto di aiuto”.
Antonio Guccione ha realizzato campagne pubblicitarie uniche, è stato l’autore di numerose pubblicazioni, ha fotografato e collaborato con star internazionali e le sue opere sono esposte in prestigiose gallerie e musei di tutto il mondo ma, dopo oltre quarant’anni di attività, continua a sostenere che “non si smette mai di essere artisti e non dobbiamo mai dimenticarci di quello che ci appassiona, soprattutto nei momenti bui. Solo questo ci permette di essere vivi”.
In copertina: Antonio Guccione
immagini per gentile concessione dell’intervistato