PAOLO IABICHINO - La pubblicità si fa etica, impegnata e sostenibile
Ho incontrato Paolo Iabichino in una di queste prime giornate primaverili, inserendomi nella sua agenda con una missione: capire e provare a spiegare cosa significa pubblicità etica a quelli, molti, che di etico nella pubblicità ci vedono poco.
Paolo Iabichino è certamente la persona giusta a cui chiederlo, perché è uno dei pubblicitari più importanti in Italia: ex Direttore Creativo di Ogilvy, Comunicatore dell'anno 2018, Direttore della collana “Tracce” di Hoepli e Maestro della Scuola Holden. E perché, grazie ai suoi numerosi libri sul tema, una decina di anni fa ha dato l’abbrivio a un cambio di rotta nella comunicazione, se ne è fatto fautore e portavoce, ed è diventato punto di riferimento nella didattica delle nuove generazioni di pubblicitari, fornendo loro le basi per esercitare un mestiere affascinante, ma controverso.
Con il suo libro Invertising, neologismo nato dalla crasi tra advertising e inversione, ha ideato un vero e proprio manifesto per un messaggio pubblicitario rinnovato e consapevole che si auspica un cambio del suo senso di marcia, mentre con Scripta Volant ha disegnato un nuovo alfabeto in cui la scrittura è figlia di una sensibilità rinnovata e dove sostiene che “l’emozione vince sulla ragione e sulla funzionalità”. Ma per lui, il vero motore di questo cambiamento sono i giovani, ai quali insegna alla Scuola Holden.
Veniamo, però, al punto dolente. È un triste dato di fatto che la pubblicità segua delle logiche e usi dei meccanismi che privilegiano il profitto a discapito della trasparenza. La nostra personale visione del mondo è, in una certa maniera, condizionata dalla pubblicità.
Ciò che compriamo, mangiamo, indossiamo, come ci divertiamo, chi e cosa amiamo: ogni nostra decisione, che ci piaccia o meno, passa attraverso i filtri della comunicazione che ci dà i parametri del bello e del buono con i quali scegliere.
Allora, cosa vuol dire pubblicità etica?
“Vuol dire che bisogna dire basta alla pubblicità inquinante, che segue unicamente la logica del profitto. Vuol dire che ci siamo resi finalmente conto che c’è bisogno di trovare, con la marca per cui e con cui lavoriamo, una base valoriale forte da cui partire ogni volta che ci viene chiesto di fare una pubblicità. Non è più il tempo del purché se ne parli: bisogna che se ne parli per una ragione credibile, pertinente e rilevante, come si legge nella riscrittura che i ragazzi della Scuola Holden hanno fatto del manifesto Cluetrain (95 tesi scritte per affrontare l’avvento di internet nella comunicazione nel ’99, ndr). E c’è bisogno di voci nuove che possano indirizzare il modo di fare mercato dei prossimi trent’anni”.
Così, Iabichino mi racconta la sua visione e lancia un appello alla nuova generazione di comunicatori.
Cosa devono fare, quindi, aziende e pubblicitari oggi?
“Le aziende, oggi, devono avere un impatto sociale e, insieme ai professionisti della comunicazione, far capire ai loro clienti qual è il loro scopo. Smettere, quindi, di considerarli come un obiettivo (target) ma abbracciarli come interlocutori. Perché, come si legge sulla copertina di Existential marketing, i consumatori comprano, mentre le persone scelgono. Il marchio deve diventare una creatura che abita la vita delle persone e considera il contesto, intervenendo attivamente sul tessuto sociale”.
E aggiunge: “Molte grandi corporation si sono già mosse in questa direzione, prendendosi anche dei rischi, perché schierarsi significa anche non essere popolari”.
Quindi le marche, le aziende, chi fa pubblicità insomma, può diventare attivista?
“Dev’essere assolutamente quella, la tensione. Ogni azienda dovrebbe voler migliorare la società che abita, occupandosi della qualità della vita dei suoi clienti e dei suoi dipendenti. Il trattamento delle risorse umane, l’emancipazione femminile, l’uguaglianza di genere, l’abbattimento del divario nel mondo del lavoro sono temi con i quali non si può più scendere a compromessi. Così come la scelta delle materie prime e l’ecosostenibilità sono diventati prerequisiti per stare nel mercato”.
Sul tema dell’attivismo delle marche, un punto di riferimento in Italia è proprio l’Osservatorio Civic Brands, che monitora l’attività delle aziende che scelgono come strategia di mercato l’impatto civico.
L’Osservatorio, creato da Iabichino insieme a Ipsos, si affianca ad un altro lavoro importante in tema di attivismo di marca. Lo scrittore firma, infatti, la prefazione di Brand activism, l’ultimo libro di Philip Kotler, il padre del marketing moderno. Con 70 libri sul marketing al suo attivo, Kotler parla della necessità di passare dal voler prendere posizione al voler prendere parte a cause in ambito sociale.
La tua missione, quindi, è “salvare” la pubblicità?
“Io non spero di salvare la pubblicità, io provo a farla in questo modo ogni volta che mi riesce”.
In copertina:
Paolo Iabichino © Daniele Barraco
Immagini al biliardo:
© Isabella De Maddalena