LEAF ARBUTHNOT - "Due tazze di tè a Swinburne Road"
Looking for Eliza è il titolo originale, ma noi abbiamo una certa propensione per quello italiano del romanzo che, con Due tazze di tè a Swinburne Road, ci offre una geolocalizzazione più romantica e “inglese”. Perché si tratta di un romanzo squisitamente inglese. Oxford e l’ambiente accademico, certo, ma è quando si aprono le porte di Swinburne Road dell’anziana vedova poetessa Ada che le cose cominciano a cambiare per lei e anche per Eliza, giovane dottoranda alle prese con un vecchio amore e in crisi nel suo percorso di studi.
È un brillantissimo debutto, quello della trentunenne Leaf Arburhnot, assistente redattore della rivista The Week e giornalista freelance, le cui recensioni e articoli sono stati pubblicati su riviste del calibro di Vogue, The Sunday Times e The Spectator. Tra i personaggi da lei intervistati troviamo Hilary Mantel, Jilly Cooper e anche il re Carlo III d’Inghilterra. È stata giudice del Forward Prize for Poetry nel 2020 e dei Michael Marks Awards per gli opuscoli di poesia nel 2017, e ha studiato lingue moderne a Cambridge. È lei stessa a parlarci del suo primo romanzo.
Sappiamo che ha scelto Primo Levi come argomento della sua tesi di laurea. Come mai ha poi deciso di renderlo parte importante del suo romanzo?
Levi è stato uno dei pochi scrittori che è entrato camminando dritto nel mio cuore, quasi a partire dalla prima parola che ne ho letto. Ammiro ciò che ha scritto sull’Olocausto – naturalmente - ma sono il suo calore, la sua birichineria e il suo umore che me lo fanno amare. Volevo farlo entrare nel romanzo e ho deciso che le sue sculture in filo metallico mi avrebbero aiutato nel compito.
Cosa l’ha ispirata a scrivere così profondamente su un’amicizia inusuale in termini anagrafici?
Penso che l’amicizia attraverso le generazioni venga sottovalutata. Io amavo trascorrere del tempo con i miei nonni: una su tutti, mia nonna di 103 anni. Sono tutti morti, ora. Penso che la relazioni che ho avuto con loro siano state molto formative.
Entrambe Ada ed Eliza, seppure in maniera diversa, conoscono la solitudine. Solitudine che viene esplorata e declinata solo al femminile. Crede che per gli uomini la solitudine sia più difficile da affrontare?
Sono rimasta colpita, durante gli anni, di quanto poco alcuni dei miei amici uomini parlino agli altri amici uomini di come sia veramente la loro vita. Le mie amiche sanno molto - e sottolineo molto! - sulla mia vita. Gli uomini si sentono spesso imbarazzati nell’ammettere di essere soli, oppure non lo realizzano neppure, tanto per cominciare.
Durante il suo dottorato, Eliza viene assalita da dubbi e insicurezze, tanto da sentirsi quasi una millantatrice. Questo è il suo primo libro. Ha per caso affrontato momenti di crisi durante la scrittura?
Sono stata certamente e ripetutamente travolta dal convincimento che stessi scrivendo abbastanza male. Arrivata al traguardo delle 30mila parole, cioè a un terzo del lavoro, mi ricordo di aver pensato: “Oh Dio. Che mucchio di spazzatura! Cancellerò tutto”.
Una delle protagoniste principali del libro è una poetessa. C’è in lei un interesse specifico per questa forma letteraria?
Sì, ma non sono una brava poetessa. Non leggo più nemmeno tanta poesia di quanta ne leggessi prima, così se mi mettessi a scrivere poesie ora, sarebbero peggiori di quelle che ho già scritto. Però tengo sotto stretta osservazione la mia prosa. Correggo e ricorreggo in continuazione e cerco di lustrare le parole fino a farle brillare (spesso fallisco).
L’Italia è menzionata spesso nel suo libro. Com’è la sua relazione con il nostro Paese?
Sono assolutamente innamorata dell’Italia. Fuori dal Regno Unito è la mia nazione preferita. Trovo che la gente sia molto accogliente e divertente, la letteratura brillante, e l’apprezzamento della bellezza mi è d’ispirazione. È da diverso tempo che viaggio a Roma una o due volte all’anno e amerei trasferirmi in Italia, prima o poi!
In copertina: Lead Arbuthnot
immagini per gentile concessione dell’editore