ARABIA SAUDITA - Colori e profumi d’Oriente nei luoghi dove gli occhi delle donne “parlano”
C’è sempre un viaggio che più di altri appassiona e rende liberi di comprendere luoghi lontani dalla propria cultura. L’Arabia Saudita è stato “quel luogo” e mi ha lasciato una ricchezza assoluta, perché mi ha permesso di apprezzare usi e costumi molto diversi dai miei e di interpretare il significato di molti gesti senza sentirmi smarrita.
Ho condiviso questo viaggio con la mia famiglia, progettandolo per lungo tempo, perché sapevamo di entrare in un Paese che ha iniziato ad accogliere i turisti solo dal 2019. Prima di allora era possibile accedere solo con visto lavorativo.
Da Venezia abbiamo raggiunto Gedda, seconda città dell’Arabia, dopo cinque ore di volo. Da qui, dopo aver noleggiato un’auto, siamo partiti all’avventura e alla scoperta di un pezzo di Arabia che si affaccia sul Mar Rosso. Yanbu è stata la prima destinazione. Antico porto e crocevia di mercanti che dallo Yemen raggiungevano le coste africane con spezie e altre mercanzie, oggi è una città dove ha preso piede l’industria petrolchimica, ma che ha mantenuto l’antico centro con i palazzi storici caratterizzati dalle terrazze chiuse, in legno e arricchite da decorazioni tipiche. Yanbu è anche un buon approdo per gli appassionati di immersioni.
La vecchia città è disseminata di piccoli negozi, ristoranti e baracchini che vendono tè e frutta, a cui si alternano caffetterie in stile occidentale. Di giorno si respira un’aria da piccolo paese semi-disabitato, perché a causa del caldo i negozi sono chiusi e c’è poca gente in giro, ma la sera tutto si anima e il luogo si trasforma in una città luminosa, con un traffico caotico e negozi aperti fino a tardi. Yanbu ci ha affascinati anche quando ci siamo trovati a goderci il tramonto lontani dal caos cittadino, sorseggiando un caffè.
Il nostro viaggio è proseguito verso AlUla, attraversando strade desertiche e incontrando cammelli e pecore lungo le distese di sabbia. Solo ogni 200 km di viaggio in auto si trovavano aree di sosta con pittoresche ma fatiscenti costruzioni in pietra che ospitavano i distributori di benzina, il gommista, piccoli negozi di alimentari e, adiacente a questi, una piccola moschea munita di bagni, per permettere di purificarsi con l’acqua prima della preghiera. Spesso questi “stop” sono stati un buon ristoro per noi e un vero divertimento per i sauditi, i quali si incuriosivano quando - scesi dall’auto - chiedevamo informazioni per trovare un bagno, per bere un caffè o per mangiare qualcosa.
Ci siamo ritrovati a pranzare seduti su un tappeto, scalzi, con un piatto di riso e carne di capra, senza posate ma con un bicchiere di caffè al cardamomo, gentilmente portato da ragazzi dagli occhi fieri, orgogliosi di farci provare i loro cibi e di poterci dire “Welcome”.
Dopo parecchie ore di auto siamo finalmente arrivati nel luogo che più di tutti ci ha sorpresi per la magia della sua storia, rimasta nascosta per anni, e per l’atmosfera infinitamente surreale. Questa città si chiama AlUla, e si trova nella regione di Medina, nel nord-ovest dell’Arabia Saudita, lungo la via dell’incenso. AlUla era la capitale dei Dedaniti e oggi è una città vivace, con un vecchio centro storico molto curato, disseminato di case di roccia e percorso all’esterno da strade che attraversano palmeti e moschee. Ad AlUla si trova il sito archeologico di Hegra l’antica città costruita dai Nabatei più di 2000 anni fa.
Il sito di Hegra è visitabile solamente con le guide. Ci siamo incamminati, quindi, con loro e siamo rimasti incantati dai palazzi e dalle tombe costruiti sulle rocce arenarie e perfettamente preservati. Il sito è stato dichiarato patrimonio dell’Unesco e il turismo, in quest’area, si sta sviluppando poco a poco. Siamo rimasti immersi nel silenzio, ascoltando la storia di questa civiltà lontana che ha lasciato al mondo un’inestimabile ricchezza.
Fino a non molto tempo fa, si sapeva poco dell’origine dei Nabatei: furono grandi mercanti e ottimi costruttori che si adattarono al territorio con facilità, commerciando incenso, mirra, spezie e il bitume proveniente dal Mar Morto. Grazie a tali ritrovamenti, si è scoperto molto sulla vita che conducevano e sul loro rapporto con la morte.
La magia di AlUla e i racconti che abbiamo ascoltato ci hanno molto colpiti. Abbiamo vissuto momenti di pura meraviglia, persi nel contrasto tra il cielo azzurro e il colore intenso della sabbia e della roccia. Abbiamo potuto parlare con diverse persone, fra cui giovani donne e ragazzi, che ci rivolgevano la parola chiedendoci se conoscevamo l’inglese. Una volta scoperto il nostro paese d’origine, i loro occhi si riempivano di meraviglia mentre menzionavano le nostre città - Venezia, Firenze, Roma, Torino - comunicandoci il loro desiderio di poterle visitare un giorno. Ci è stato poi confidato che il riconoscimento dell’Unesco a Hegra come Patrimonio dell’Umanità ha portato un vero e proprio arricchimento per questo popolo, grazie all’apertura al turismo che ha permesso a molti di lavorare, di imparare le lingue, e di conoscere nuove culture. Anche le donne hanno avuto delle opportunità: sono diventate guide turistiche, lavorano nelle caffetterie o nei negozi di souvenir, guidano le golf-car per i turisti, gestiscono l’organizzazione degli uffici turistici. Si tratta di un vero e proprio cambiamento sociale, tangibile non appena si inizia a visitare AlUla e le sue bellezze.
Il nostro programma di viaggio è poi proseguito con il ritorno a Gedda, dove abbiamo visitato i vecchi quartieri e le moschee. Qui ci siamo anche rilassati al mare, godendoci la comodità di un moderno hotel dopo giorni trascorsi vivendo un po’ da nomadi. A Gedda abbiamo ritrovato edifici costruiti nello stesso stile architettonico di quelli di Yanbu, caratteristici per le terrazze chiuse. Da queste terrazze le donne un tempo osservavano lo svolgersi della vita senza essere viste. Più grande la terrazza, maggiore la ricchezza della famiglia.
Ora questi palazzi sono in gran parte in restauro perché il regno, tramite il ministero della cultura, sta investendo moltissimo nella riqualificazione dei centri storici. A dircelo, anche se era evidente osservando i molti cantieri presenti, è stato un architetto – un fotografo di origine pachistana che abbiamo incontrato passeggiando per il centro e con il quale ci siamo fermati a parlare, incuriositi da tanto fervore. Ci ha confidato che sono circa 600 i palazzi in fase di restauro: un investimento importante, che segnerà l’arrivo di molti turisti e che sta dando lavoro a differenti professionisti, non solo sauditi ma anche provenienti da altri Paesi.
Il tempo è volato e, quando il nostro viaggio è terminato, mi sono chiesta cosa mi era maggiormente rimasto di questa esperienza. Non ho una risposta precisa, perché molte sono le cose che mi hanno colpita: la storia, la natura calda e ostile, la magia dei cieli stellati, il profumo delle spezie, i canti religiosi, i bambini che giocavano nelle piazzette. Ma più di tutto, mi hanno colpito gli occhi delle donne ricoperte dal velo. Sono occhi scuri, intensi e vivi, che comunicano la voglia di esistere in un mondo che sta cercando di aprirsi e che guarda all’occidente, anche se le tradizioni islamiche sono forti e granitiche quanto questo regno.
Sono occhi di madre, di figlia, di moglie, ma sono in assoluto occhi di donna, con la loro voglia di guardare il cielo senza limitazioni, di fare un bagno in mare, di poter avere lo stesso impiego che hanno gli uomini, di viaggiare o indossare una gonna.
Ora, pur se rientrata nella mia realtà, ricordo ancora quegli sguardi curiosi, vivi e ricchi di possibilità. Li porterò con me per sempre.
In copertina: Hegra © Richard Mortel
Slideshow:
Vecchia Gedda © Richard Mortel
Corniche © Anders Lanzen
Fontana © Andy Gocher