LUCA VANNUCCI - Direttore del Laboratorio di Immunoterapia presso l’Accademia delle Scienze di Praga

LUCA VANNUCCI - Direttore del Laboratorio di Immunoterapia presso l’Accademia delle Scienze di Praga

Il Laboratorio di Immunoterapia, facente capo all'Istituto di Microbiologia, è situato a Krč (Praga 4) nel vasto campus dell'Accademia delle Scienze, ente pubblico di ricerca della Repubblica Ceca e omologo del Consiglio Nazionale delle Ricerche italiano. Il Dr. Luca Vannucci – nativo di Viareggio, in provincia di Lucca – è approdato a Praga al crepuscolo degli anni '90 per un progetto di ricerca, in collaborazione con il Dr. Miloslav Pospíšil, presso il Laboratorio di Immunità Cellulare Naturale, antenato dell'odierno Laboratorio di Immunoterapia di cui Vannucci è direttore dal 2009. Chirurgo alla scuola del professor Franco Mosca a Pisa e poi del Prof. Fabrizio Michelassi, di cui fu il primo fellow student alla University of Chicago, il Dr. Vannucci ha avuto la possibilità di "imparare il mestiere" di medico e ricercatore dai migliori. Corsista negli USA di Charles Brenton Huggins, che nel 1966 vinse il Premio Nobel per le sue scoperte in merito alla correlazione tra ormoni e tumori alla prostata e alla mammella, ha poi avuto modo di imparare da alcuni luminari italiani della medicina contemporanea: quali Pierotti, biologia molecolare, Clerici, immunologia, Baietta e Bonadonna, chemioterapia, Veronesi chirurgia oncologica. Il Laboratorio di Immunoterapia è oggi coinvolto in ricerche di respiro internazionale, svolte per mezzo di tecnologie all'avanguardia. Gli studi in corso includono: l'indagine su nuove possibilità di diagnosi e terapia dei tumori del colon-retto, l'analisi di meccanismi dell’infiammazione che possono facilitare o modificare la crescita dei tumori e l'uso di nanotecnologie (nanoparticelle) per portare i farmaci di chemio o immunoterapia direttamente dentro le cellule tumorali.

Quotidianamente impegnato nella ricerca e nel reperimento fondi per la sussistenza del Laboratorio, il Dr. Vannucci ha un ottimo rapporto con la comunità italiana in Repubblica Ceca e, in collaborazione con l'Istituto di Cultura Italiano e l’Ambasciata d’Italia a Praga, ha organizzato conferenze divulgative e partecipato ad eventi di beneficenza, ottenendo sempre una risposta molto solidale dai connazionali. Il prossimo appuntamento pubblico sarà però di tipo prettamente medico. Dal 24 al 27 aprile si terrà infatti a Praga, nelle sale dell'Hotel Ambassador a Václavské náměstí, un congresso di immunoterapia che coinvolgerà circa 200 ricercatori. Il congresso offrirà un panorama aggiornato del processo evolutivo dell'immunoterapia, che, considerata per tanti anni alla stregua della magia nera, è divenuta a tutti gli effetti parte integrante della terapia oncologica.

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Dr. Vannucci, prima di trasferirsi a Praga, ha lavorato come chirurgo e come docente per l'Università di Pisa. Cosa si ricorda di quel periodo che risale ormai a quasi 17 anni fa?

A Pisa sono nato e cresciuto come medico, vi ho fatto l'università e la specializzazione in chirurgia generale. Ho vinto una borsa di studio per un corso di specializzazione chirurgica negli Stati Uniti, durante il quale ho imparato a fare modelli sperimentali in animale e ho avviato un modello di carcinogenesi del tumore all'intestino, che avrei successivamente sviluppato a Pisa. Al mio ritorno ho lavorato per due anni all'ospedale di Favizzano come chirurgo, mentre ero ricercatore universitario volontario perché non c'erano posizioni disponibili. Nel frattempo, ho ultimato la specializzazione in oncologia medica a Milano con maestri illustri del calibro di Veronesi, Bonadonna, Baietta, Pierotti. Personaggi che hanno gettato letteralmente le basi della materia, per cui è stato un enorme vantaggio studiare in quel periodo. Entrato definitivamente all'Università di Pisa in qualità di ricercatore e docente, essendo a quell‘epoca l'unica figura a parlare un inglese fluente, diventai il "Ministro degli Esteri" dell'Istituto, il che mi permise di incontrare il professor Miloslav Pospíšil, fondatore del Laboratorio che ora dirigo.

Com'è nata l'idea di Praga?

Nel '94, il professor Pospíšil stava cercando un modello sperimentale di tumore, su cui non ci fossero degli effetti antifisiologici da parte delle sostanze che venivano utilizzate per simulare la carcinogenesi. A un mese di distanza dalla prima chiacchierata, mi arrivò un fax dall'Accademia delle Scienze che mi invitava a collaborare, applicando il mio modello sperimentale. Nel febbraio '95 iniziarono i primi test e così le mie visite, con cadenza regolare, per la preparazione e la verifica del modello e la relativa discussione dei risultati. Nel '98, dopo risultati rilevanti in merito all'azione di particolari zuccheri sull'attivazione delle cellule immunitarie, ottenemmo un finanziamento quinquennale e mi trasferii in pianta stabile a Praga. Nel 2005 arrivò poi la proposta dell'Accademia: Senior Researcher nel campo dell'immunologia, che accettai diventando a tutti gli effetti un lavoratore ceco. Nel frattempo, ottenni anche il Dottorato di Ricerca (PhD) in Immunologia presso l'Università Carolina.

Qual è lo stato dell'arte del laboratorio di cui, dal 2009 è direttore? Su cosa si sta lavorando e quali sono gli obiettivi di breve e lungo periodo?

Il nucleo dei nostri studi è il microambiente tumorale, l'immunità del medesimo e come le condizioni locali subiscano una mutazione delle strutture che si adeguano allo sviluppo del tumore e alle risposte immunitarie. I risultati scientifici degli ultimi 20 anni hanno permesso di individuare due “dogmi“ nello studio del tumore. Primo, il punto debole di tutte le terapie è il microambiente in cui si sviluppa il tumore. Secondo, lo sviluppo del tumore e la sua modulazione sono basati su fenomeni infiammatori. Su queste basi, misuriamo la distribuzione delle cellule immunitarie prelevando la milza oppure la mucosa intestinale dagli animali, e valutandone i cambiamenti molecolari durante la carcinogenesi. Utilizziamo anche un modello non comune a molti laboratori a livello internazionale, ovvero animali germ-free.

Di che si tratta?

Si tratta di animali che vengono estratti per via cesarea da un utero completamente sterilizzato. I feti, che non hanno batteri né sulla superficie né nell'organismo, non subiscono, crescendo, la stimolazione cronica di attivazione immunitaria comune invece all'intestino di tutti noi. È possibile quindi contaminarli selettivamente e, tramite la comparazione, capire quali parametri permettono il controllo e quali condizioni possono modificare l'insorgenza del tumore. Questa sperimentazione ha permesso di comprendere che nei germ-free insorgono meno tumori e di dimensioni inferiori. Ne deriva che la stimolazione infiammatoria tipica degli organismi "normali" genera un background che impedisce il riconoscimento di elementi iniziali di carcinogenesi e la conseguente attivazione immunitaria. Questi risultati sono racchiusi in un articolo che è stato citato in varie riviste internazionali specializzate, e ne sono molto contento.

Il Laboratorio fa parte di un sistema per gli studi biomedici ovviamente differente da quello italiano. In che termini?

L'Accademia occupa un posto importante nella ricerca scientifica nazionale ed esprime un indirizzo importante a livello governativo, a differenza del CNR italiano di cui è omologa. Gli organi direttivi sono scelti dagli accademici stessi, il che è un vantaggio ma anche un problema a seconda di chi governa. Vari sono stati gli attacchi subiti dall'Accademia negli ultimi anni. In particolare dal governo Topolánek, che nel 2009 stabilì una riduzione del budget pari al 20% annuo per tre anni. La conseguente protesta della società civile e di tanti istituti culturali portò il governo a una parziale marcia indietro. Oggi, tuttavia, navighiamo con un budget ridotto di circa il 40% rispetto a quando sono arrivato. Per andare avanti, bisogna trovare i fondi. Le call e i grant nazionali non bastano. Si deve entrare in cordate per fondi europei e internazionali, sperando che le tematiche su cui si lavora siano compatibili con la richiesta. Tutto ciò, senza dimenticare i fondi privati, magari offrendo alle ditte la possibilità di fare dei test con le proprie tecniche.

In qualità di direttore, non si occupa quindi esclusivamente degli aspetti medico-scientifici, ma diventa a tutti gli effetti un procacciatore di finanziamenti...

Assolutamente. È una parte fondamentale della mia attività, che rischia sfortunatamente di prevalere sulla ricerca. Il personale è stipendiato con il budget del laboratorio stesso, non dell'Istituto, e, pur con tabelle stipendiali dequalificanti, si fatica a coprire le spese. I salari bassi, a loro volta, danno vita a problemi di continuità nella ricerca, dovuta al continuo ricambio dello staff. I ragazzi, che magari vengono qua a svilupparsi professionalmente, migrano verso le tante industrie farmaceutiche e biotech che offrono stipendi d'entrata doppi rispetto a quello che noi riusciamo a pagare, e non si può dargli torto. La gestione del laboratorio prevede dunque tanto sacrificio. Tra sperimentazione, valutazione dei risultati, redazione di articoli e serate di beneficenza, per me serate e weekend liberi sono diventati una rarità.

La comunità scientifica è un insieme di centinaia di migliaia di centri d'intelligenza, le persone stesse, dislocati nel mondo. Come si delinea la strategia da seguire nel suo campo?

Ogni tanto emergono idee folgoranti, il classico tappo di champagne che parte e rivela quella che era la sensazione comune. I vari ricercatori iniziano ad analizzare e, man mano che emergono, i risultati vengono selezionati per rilevanza. Un meccanismo in continuo movimento, come quando si mettono a cuocere gli gnocchi e pian pianino vengono a galla. Qui è lo stesso, nelle dovute proporzioni. A cuocere ci sono tante cose e quelle più importanti vengono su, diventando le milestones sulla strada che si sta costruendo. Ci sono poi i congressi dove vengono presentate le scoperte. Quelli più grandi sono come fiere del settore, delle grandi mostre, mentre quelli più efficaci sono di media grandezza, dove è possibile presentare, discutere e avere un'interazione più profonda. Da questo milieu, dove rappresentanti di laboratori che lavorano sulla stessa tematica si incontrano, nascono idee e collaborazioni. Su internet esiste infine un sito, www.researchgate.net, che funziona come un social network della ricerca, facilitando la connessione e dando la possibilità di rendere accessibile i propri lavori pubblicati.

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Da espatriato di lunga data, può fare una fotografia del momento storico che sta vivendo il nostro paese?

Mi sembra un momento molto caotico. Da un lato c'è un crollo verticale dei valori sociali ed etici e della capacità di difenderli. Il panorama politico non offre grandi personaggi che possano sostenere il recupero etico-sociale che servirebbe. La mancanza di un'ideologia, di un credo nel quale l'individuo si possa riconoscere ne è la causa principale. Questo è un problema grosso del nuovo secolo, dalla fine del secolo breve ad ora. Un esempio pratico è dato dal riscontro della figura del Papa. Lui è il rappresentante riconoscibile di un'entità con un'identità etico-sociale chiara, che mette in luce alcune necessità del convivere e della dignità umana essenziali: il lavoro, il rispetto degli altri, la pacificità delle relazioni, la carità. Elementi che sono condivisibili anche da un ateo, poiché basi del convivere sociale. Il fatto che il solo baluardo rimasto di valori "normali", lapalissiani, sia una figura religiosa evidenzia il vuoto di rappresentanza. Per il resto, mi sembra sia in corso una sparizione dei limiti che permettono il dibattito e la libertà, nel senso di condivisione e rispetto del prossimo.

Parole che richiamano una figura che abbiamo perso di recente, Zygmunt Bauman, e la sua società liquida. In Italia, il dibattito è spesso dominato dalla circolazione coatta di "false verità". Si spazia tra la dipendenza vaccino-autismo e la psicosi meningite, correlata erroneamente al fenomeno delle migrazioni. A inizio gennaio, il virologo Roberto Burioni, dopo aver ricevuto ripetuti attacchi su temi scientifici da individui senza qualificazione né competenza, ha affermato che la scienza non è democratica. Quali possono essere gli anticorpi per situazioni di questo tipo, che infettano il vivere comune?

L'anticorpo sarebbe il livello di credibilità attribuita a chi dice una certa cosa. Se non credi al pulpito da cui viene la predica, perché ne metti in discussione competenza ed esperienza, allora non c'è capacità di dialogo. Un dialogo alla pari si verifica quando ognuno cerca di capire, e poi, in maniera logica, si arriva alla prevalenza di una delle due parti. Se però si parte dal principio che tutti i dati sono manipolati dalle big pharma, è evidente che non si parla più di fatti oggettivi ma di affabulazione generale non comprovata e che, allo stesso tempo, non può essere nemmeno smentita. Questo è il dramma grosso. Se avessimo due malati di polmonite, io l'antibiotico e uno stregone la propria danza, sarebbe semplice dimostrare quale rimedio funzioni. L'audience di chi cavalca queste teorie inverosimili è però molto più ampia rispetto a quella di chi usa il linguaggio scientifico, più arido e meno coinvolgente per definizione. Questo fa sempre parte del crollo dei limiti e dell'identificazione dei soggetti. Dire che la scienza non è democratica è vero, ma fino a un certo punto. È il rispetto del dato logico e della prova che deve essere considerato, perché qualora non lo fosse salterebbero tutti i limiti della discussione.

L’Italia è il settimo paese al mondo per impatto nel campo della ricerca su scala mondiale. Allo stesso tempo, i nostri investimenti sono ampiamente sotto la media EU. Il trade off, certamente positivo, è sostenibile nel tempo?

Il fatto che si ottengano risultati significa che i cervelli sono buoni e lo si vede anche andando in giro per il mondo. Purtroppo il know how continua a essere coltivato con gli scarti della finanziaria, senza conseguenze reali né per il futuro né per l'occupazione nell'immediato. Se si investisse in maniera continuativa, si potrebbe avviare un trend positivo sia per l'industria sia per la ricerca, portando a migliori possibilità d'impiego e all'apertura di altri campi applicativi. D'altronde, ogni nuovo prodotto vendibile oggi è il risultato di ricerche di anni, partite da un banco di laboratorio dove ne sono state scoperte le basi. Minori investimenti, invece, si traducono in tempi più lunghi e ricerche meno competitive, perché da altre parti magari sono già arrivati al risultato. Bisogna saper guardare al futuro e non, come al solito, alla punta delle proprie scarpe, come purtroppo accade troppo spesso nella politica nazionale ed internazionale.

L'aumento dei fondi destinati alla ricerca è fondamentale, ma anche la loro gestione deve essere logica e lungimirante...

Gli stati dimenticano che non si fa la scienza con imprese faraoniche, grandi laboratori e super centri. O meglio, la scienza si fa anche così quando bisogna raggiungere risultati specifici in particolari progetti. Ma un ricercatore bravo non nasce dal nulla. Se non c'è la scuola che insegna a usare una pipetta, o a separare cellule e dna, come fanno questi studenti a diventare ricercatori da Premio Nobel? Se i fondi sono devoluti per le super eccellenze, viene fatta affogare tutta quella marea di laboratori di piccola e media grandezza, che di fatto crea, educa, e permette lo sviluppo progressivo dei ricercatori di domani. È come se si volessero aprire un sacco di università, senza prima avere aperto le scuole elementari.

(Intervista pubblicata sul Volume 4 di CIAOPRAGA)

 

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